- 22 Febbraio 2023
Cessione azienda, cessione partecipazioni o conferimento e fusione
Il programma consente di valutare il carico fiscale dei cedenti e del cessionario (con o senza riallineamento fiscale) connesso ad alternative operazioni di: cessione aziendale, cessione di partecipazioni, conferimento e successiva cessione delle quote ricevute a fronte del conferimento dell’azienda. Ciascuna delle operazioni di riorganizzazione aziendale è rappresentata anche in appositi schemi dinamici nei quali si ottengono immediate indicazioni dei carichi tributari a cui vanno incontro i cedenti, a seconda: della natura dei soggetti coinvolti nella realizzazione della plusvalenza e/o nella distribuzione dei dividendi, della quota di partecipazione nella società proprietaria dell’azienda, delle caratteristiche PEX della partecipazione, ecc. A cura del dott. Aldo Perriello. Il software è reperibile anche su www.supermercato.it
PROCEDURA CESSIONE QUOTE di SRL per Dottori Commercialisti
PROCEDURA CESSIONE QUOTE SOCIALI SRL
Redazione dell’atto
Trasformazione dell’atto in formato PDF/A-1 che si ottiene attraverso l’utilizzo del programma swriter di Open Office.org versione 3.1.1.
Passi:
1) aprire il file, in precedenza redatto nel formato word, con il programma swriter, utilizzando il tasto destro del mouse:
2) una volta aperto il programma swriter dal menu “file” scegliere “ESPORTA NEL FORMATO PDF”;
3) dal menu “Opzioni PDF” – Sezione generale impostare “PDF/A-1”;
4) attivare il tasto “esporta”;
5) salvare il documento;
6) eventualmente, per tuziorismo, si può verificare la corrispondenza agli standard accedendo all’apposita sezione di controllo presente nel portale Telemaco.
Firma con procedura Dike (versione 4.2.2) del documento in PDF/A-1.
Ciascuna parte contrattuale, oltre l’intermediario, deve possedere la smart card personale (del costo di Euro 30 iva inclusa che si può ritirare senza attese – ove vada l’interessato senza delegare il professionista – presso qualsiasi camera di commercio: a Salerno al pian terreno, seconda porta a sinistra).
Passi da seguire:
Preliminarmente, occorre impostare i parametri di marcatura temporale, i cui dati (User Id e password) si ottengono registrandosi sul sito http://ebusiness.infocert.it/nemo/muta/ordine.do al momento del primo acquisto delle marche temporali: un lotto di Euro 30 dà diritto a 100 marche temporali, una delle quali occorre per una marcatura temporale.
Una volta esaurite (si può verificare il saldo con l’opzione “Verifica disponibilità marche temporali” presente nel menu strumenti) le marche temporali possono essere riacquistate accedendo al predetto sito mediante i dati di Log in già ottenuti.
All’interno di Dike occorre procedere, quindi, all’inserimento dell’user ID (costituita dalla propria E.mail) e della password nella sezione “Parametri Marcatura”, a cui si accede scegliendo, ” dal menu “Strumenti”, l’opzione “Configurazione.
Svolte queste attività preliminari:
1) si esegue la prima firma (di una delle parti) selezionando il documento contenente l’atto di cessione in formato PDF-A1, inserendo la scheda nell’apposito lettore;
2) si appone la seconda firma, e le eventuali altre, avendo cura di selezionare il file già in formato .p7m, cioè quello già firmato dalla prima parte (altrimenti si sovrappone a quello già firmato e bisogna procedere alla firma precedentemente eseguita);
3) viene apposta da parte dell’intermediario la firma e la marcatura temporale (è consigliabile con la funzione contestuale).
Ogni volta che si appone una marcatura temporale bisogna reinserire la (sola) password, già indicata nei parametri di marcatura di Dike.
4) si scinde il file – ottenuto dopo le firme e la marcatura temporale – con estensione .m7m (che non può essere allegato tal quale alla domanda di registrazione da inoltrare all’Agenzia delle Entrate) in due file: uno con estensione .p7m e uno con estensione .str; ciò va fatto mediante la funzione “separa marca da documento” presente nel menu strumenti di Dike.
In fase di separazione occorre fare attenzione a creare separate cartelle (Directory) per il file .p7m e per il file .str, da allegare disgiuntamente alla domanda per l’Agenzia delle Entrate.
Compilazione domanda con il software scaricato dal sito dell’Agenzia delle Entrate “Cessione quote societarie” (versione 120 del 22/06/2009)
La domanda elimina la necessità di recarsi all’Agenzia delle Entrate (una qualsiasi del territorio italiano, trattandosi di atto non autenticato) per la registrazione portando con sé il modulo F23 pagato.
Si compila la domanda riportando i dati richiesti di registrazione, in modo molto intuitivo, allegandovi:
- a) l’atto di cessione quote con le firme delle parti e dell’intermediario (il file con estensione .p7m);
- b) la marca temporale (detached) avente estensione .str ottenuta, come detto, staccandola dal file con estensione .m7m mediante la procedura >strumenti > separa marca da documento.
In fase di primo inserimento bisognerà indicare le coordinate bancarie dell’intermediario per l’effettuazione del pagamento dell’imposta di registro e di bollo.
Una volta compilata la domanda si ottiene un file costituito dal codice fiscale dell’intermediario e con estensione finale _CQS09.cqs che verrà salvato sul disco ove è salvato il programma nella cartella UnicOnLine/CQS09/ARC.
Fare attenzione a riportare la data dell’atto coincidente con quella di firma e marcatura temporale dell’atto, altrimenti il file verrà scartato.
Controllo ed autentica del file all’interno della procedura Entratel (Versione 4.6.7. del 14/09/2009 e che necessita di virtual machine Java 1.5.0)
1) Controllo del file con il programma (scaricabile dal sito dell’Agenzia delle Entrate) versione n. 600 del 12/10/2009 che viene installato ed utilizzato all’interno di Entratel e che genera un file con estensione .dcm (conviene rinominare il file prima del controllo per identificarlo meglio e non correre il rischio di duplicazioni del file riportante il proprio codice fiscale);
2) Autentica del file (rinominato p.e. cessionequotetizio_CQS09.cqs.dcm), prelevandolo dalla cartella “preparati” di Entratel ed assumerà il formato finale cessionequotetizio_CQS09.ccf, idoneo per la trasmissione all’Agenzia delle Entrate.
3) L’Agenzia delle Entrate restituisce all’intermediario un file digitale in formato .rel.p7m., che dovrà essere allegato alla domanda inoltrata alla Camera di commercio. Occorre ridenominare il file restituito dall’Agenzia delle Entrate (con prefisso CQT00 ed estensione finale _CQS09.rel.p7m), che nel nostro esempio diventa CQT00.cessionequotetizio_CQS09.rel.p7m, in quanto nella versione attuale di Fedra non viene gestito il trattino basso _, da trasformare in trattino centrale -; il file deve essere ridenominato in: CQT00.cessionequotetizio-CQS09.rel.p7m. L’Agenzia restituisce anche altro file riportante ricevuta di registrazione con nome equivalente a quello inviato, che dovrà essere aperto, visualizzato e stampato come per gli altri files ricevuti dall’Agenzia delle Entrate.
Trasmissione domanda registrata alla Camera con procedura Fedra (Versione 6.1.5)
In fase di compilazione occorre aver cura di inserire una nota riportante la seguente dicitura:
“Il sottoscritto xxxxxxxx, nato a xxxxxxx (xx) il xx/xx/19xx, consapevole delle responsabilità penali previste in caso di falsa dichiarazione, ai sensi degli artt. 46 e 47 D.P.R. n. 445/2000,
dichiara
1) di essere iscritto nella sezione A ‘Commercialisti’ dell’Albo dei dottori commercialisti ed esperti contabili di xxxxxxx al numero xxxxxx e di non avere a proprio carico provvedimenti disciplinari ostativi all’esercizio della professione;
2) di essere stato incaricato in data xx/xx/2009 alla trasmissione dell’atto di trasferimento di quote da entrambe le parti contrattuali sulla base di documentazione in proprio possesso ed a disposizione dell’ufficio del registro delle imprese.”
Bisogna allegare il predetto documento restituito dall’Agenzia delle Entrate CQT00.cessionequotetizio-CQS09.rel.p7m.
Ricordarsi di riportare gli estremi di registrazione dell’atto riportati sulla ricevuta di registrazione di Entratel (serie, numero e data di registrazione).
RICORDARSI DI FAR FIRMARE (A TUTTI I CONTRAENTI) LETTERA DI INCARICO ALLA REDAZIONE DELL’ATTO ED ALLA RELATIVA TRASMISSIONE (CON PRIVACY).
PREVEDERE COMPENSO CON LA SOLA PARTE CONTRAENTE TENUTAVI.
Cessione Azienda – presentazione piattaforma ComproAziende.com
Attraverso la piattaforma comproaziende ci si prefigge lo scopo di facilitare lo scambio di aziende e di partecipazioni azionarie nonché di promuovere lo sviluppo di aggregazioni – societarie, consortili o contrattuali – fra più soggetti per l’attuazione di programmi di sviluppo o di ristrutturazione di imprese esistenti e per l’avvio di nuove iniziative economiche, anche attraverso lo strumento del project financing.
Nel sito www.comproaziende.com sono pubblicate informazioni:
- inerenti imprese esistenti in relazione alle quali il gruppo proprietario intenda sollecitare il compimento di operazioni di carattere straordinario, tese a dismetterne la proprietà, totale o parziale, delle quote o del compendio aziendale, o a ricercare partners per il potenziamento della compagine societaria, anche in vista dell’avvio di nuovi progetti imprenditoriali, mediante aumenti del capitale sociale, fusioni, consorzi, ATI, joint-ventures contrattuali, ecc.;
- inerenti nuovi progetti di impresa in relazione ai quali il proponente intenda coinvolgere altri partners.
Le operazioni che possono essere sollecitate sono le seguenti:
CESSIONE
|
RICERCA PARTNERS
|
La linea di servizi di supporto della piattaforma consiste nell’attività di promozione e di consulenza nell’ambito delle compravendite di aziende, di partecipazioni sociali e di altre operazioni straordinarie di impresa.
Fairvalue oltre a mettere in relazione in modo riservato il soggetto proponente con tutti i soggetti potenzialmente interessati all’operazione, presta loro la propria assistenza fino alla stipula del contratto, con professionalità, imparzialità e trasparenza.
Fasi dell’intervento di Fairvalue
- inserzione proposta
- valutazione azienda/quote previa compilazione di appositi form in formato excel (scarica bilanci)
- consulenza su specifiche tematiche concernenti l’operazione in affiancamento ai consulenti delle parti
- gestione gara on line
- assistenza nelle trattative
- assistenza nella stipula del contratto
- arbitrato per la risoluzione di dispute
- verifica requisiti dei tenders
Allorché le operazioni da compiere consistano nella cessione di quote, azioni, aziende, o suoi rami, ivi compresi fabbricati, brevetti, marchi, titoli abilitativi e altri diritti, verrà attuata una specifica asta on line, le cui modalità procedurali sono indicate in dettaglio nella relativa sezione.
Oltre l’asta on line, ulteriori elementi distintivi della piattaforma sono costituiti:
- dalla valutazione gratuita dell’azienda eseguita da Fairvalue, finalizzata ad aumentare la consapevolezza delle parti in merito al valore dell’impresa;
- l’affiancamento di Fairvalue ai consulenti dei tenders.
In comproaziende i consulenti dell’imprenditore e lo staff di fairvalue cooperano affinché si possa realizzare l’obiettivo perseguito dall’imprenditore con il massimo grado di efficienza ed efficacia, prestando l’assistenza tecnica e legale all’uopo necessaria.
I partners comunicano le esigenze dei propri clienti che vogliono siano soddisfatte nel circuito comproaziende e li assistono tecnicamente in tutto l’iter procedurale.
Molto spesso una qualsiasi intrapresa economica non prende il via solo perché non si incontrano le persone giuste, in condizione di apportare le componenti necessarie in termini di idee, capitali, ecc.
La rete di Professionisti Partners Comproaziende alla base di comproaziende fa si che le relazioni tra i tenders si intensifichino rapidamente, in modo armonico, moltiplicando le occasioni di incontro tra domanda ed offerta (nel caso di scambio) o di convergenza su progetti comuni (nel caso di ricerca partners).
I professionisti partners di comproaziende sono dottori commercialisti, ragionieri, avvocati, consulenti finanziari, consulenti del lavoro, consulenti aziendali, ingegneri, architetti, geometri ed altre categorie di consulenti stabilmente legati all’impresa da un rapporto fiduciario.
Essi, con l’adesione al network professionale comproaziende vedono sensibilmente accresciuta la loro capacità di fornire soluzioni all’impresa in un settore di fondamentale importanza quale quello delle operazioni straordinarie, accrescendo quindi il proprio prestigio, muovendosi in un bacino di utenza più ampio ed acquisendo gradualmente sul campo sempre maggiori esperienze.
Fairvalue, in virtù della specifica esperienza maturata ed alle convenzioni siglate con professionisti del settore, svolge un ruolo di assistenza e coordinamento delle varie fasi in cui si articola il processo relazionale tra i tenders.
Cessione Aziende – Aspetti fiscali
Sentenza Cassazione civile, sez. Tributaria, 27-02-2009, n. 4776
La Cassazione statuisce che sono assoggettate al regime della tassazione separata non solo le plusvalenze determinate dalla cessione dell’unica azienda (con conseguente perdita dello stato di imprenditore da parte del cedente), ma anche quelle determinate dalla cessione di un solo ramo di azienda o di una sola delle aziende di cui l’imprenditore è titolare.
Sentenza Cassazione civile, sez. Tributaria, 11-06-2009, n. 13483
In tema di Irpef, l’art. 12 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (applicabile “ratione temporis”), in base al quale l’imposta si applica separatamente – se non sono componenti del reddito d’impresa – sulle plusvalenze patrimoniali percepite in dipendenza della liquidazione o della cessione di aziende, compreso il valore di avviamento, va interpretato, sulla base del riferimento alle plusvalenze “percepite”, nel senso dell’assoggettabilità ad imposta delle sole cessioni a titolo oneroso e non anche di quelle a titolo gratuito, nelle quali il cedente non percepisce nulla.
In applicazione del suddetto principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto sussistente la plusvalenza in un caso in cui due coniugi, esercenti un’impresa familiare, avevano costituito una società in nome collettivo con la propria figlia per gestire la precedente attività aziendale.
Tale interpretazione trova ora espressa conferma nel testo del corrispondente D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, comma 1, lett. g).
Cessione aziende – aspetti giuridici
Presupposti di responsabilità dell’acquirente per i debiti dell’azienda ceduta
di Molino Pietro 2005
AZIENDA – Cessione – Trasferimento dei debiti aziendali – Obblighi a carico del cedente – Responsabilità dell’acquirente – Presupposti – Iscrizione dei debiti nelle scritture contabili obbligatorie – Necessità
IL FATTO
In caso di cessione d’azienda, si intende sapere se la responsabilità dell’acquirente per i debiti aziendali si configuri solo se gli stessi risultano dalle scritture contabili obbligatorie ovvero sia sufficiente la prova che l’acquirente era comunque a conoscenza dell’esistenza dei debiti pregressi.
* * *
LA VALUTAZIONE
Oggetto della cessione di azienda
Partendo dalla definizione di azienda fornita dal c.c., il prevalente orientamento giurisprudenziale ritiene che la cessione dell’azienda – a differenza del trasferimento di un coacervo di beni atomisticamente considerati – si caratterizza per la vincolabilità funzionale che collega i vari beni aziendali, in considerazione della destinazione unitaria loro attribuita. Viene inoltre sottolineato come, ai fini della distinzione tra cessione di azienda o dei singoli beni aziendali, debba ritenersi irrilevante la circostanza che, al momento del trasferimento, l’azienda sia o meno utilizzata per lo svolgimento dell’attività imprenditoriale.
Da ciò deriva che il criterio per stabilire se ricorra o meno un fenomeno traslativo reale con riguardo ad un complesso aziendale non è quello della “attualità” dell’esercizio dell’attività imprenditoriale da parte dell’alienante attraverso i beni trasferiti, bensì quello della “possibilità”, per l’acquirente, di svolgere una attività di impresa attraverso il complesso dei beni acquistati (cfr., in tal senso, Cass. 25 gennaio 2002, n. 897; Cass. 9 agosto 1991, n. 8678, in Rass. imp., 1992, 850; Cass. 9 luglio 1992 n. 8362, in Giust. civ. Mass., 1992, fasc. 7; Cass. 19 luglio 1991, n. 8032, in Boll. trib., 1992, 885; Cass. 13 dicembre 1996, n. 11149, Cass. 1° settembre 1997, n. 8300 e Cass. 28 aprile 1998, n. 4319).
In base a tale criterio, è possibile svolgere la preliminare indagine sull’oggetto della cessione, fondamentale per individuare la disciplina ad essa applicabile: solo nel caso di trasferimento del complesso aziendale possono, infatti, trovare applicazione le regole dettate dagli artt. 2557 e ss., c.c.
Cessione dei crediti e dei debiti
L’art. 2559 c.c. dispone che la cessione dei crediti relativi all’azienda ceduta, anche in mancanza di notifica al debitore o di una sua accettazione, ha effetto, nei confronti dei terzi, dal momento dell’iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese. Tuttavia il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede all’alienante.
Operando quindi la cessione ex lege è necessario che le parti pattuiscano espressamente nel contratto i crediti che si vogliono escludere dalla cessione, così come è necessario che il cedente dichiari nell’atto per quali crediti ceduti presta garanzia; in mancanza di una tale precisazione il cedente non risponde della solvenza del debitore ai sensi dell’art. 1267 cc.
Per quanto attiene invece alla cessione dei debiti, l’art. 2560 cc subordina la liberazione del cedente alla preventiva accettazione da parte del creditore; il cessionario risponde comunque, eventualmente in solido con il cedente se questo non è stato “liberato” dai creditori, esclusivamente dei debiti risultanti dai libri contabili obbligatori.
In materia di debiti per imposte, il primo comma dell’art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997 dispone che il cessionario è solidalmente responsabile con il cedente per il pagamento delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se relative a violazioni perpetrate in epoca anteriore. Lo stesso comma prevede, altresì, un importante limitazione stabilendo che al cessionario è riconosciuto il beneficio della preventiva escussione del cedente e che, in ogni caso, la sua responsabilità per violazioni non può comunque eccedere il valore dell’azienda o del ramo d’azienda acquisito. L’obbligazione del cessionario è limitata al debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli Uffici e degli Enti preposti all’accertamento dei tributi di loro competenza, i quali, su istanza dell’interessato, sono obbligati a rilasciare un certificato di esistenza di contestazioni in corso e di quelle già definite per cui i debiti non sono stati soddisfatti. Il rilascio di certificazione negativa ovvero il mancato rilascio entro quaranta giorni dalla richiesta ha un effetto liberatorio nei confronti del cessionario. E’ importante notare che tale fattispecie non si applica alle cessioni d’azienda avvenute nell’ambito di una procedura concorsuale (Ris. min. 12 luglio 1999, n. 112/E/1999/84670).
La successione nei contratti
Quanto ai rapporti negoziali, l’art. 2558, primo comma, stabilisce che, qualora le parti non abbiano pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale.
Questo fenomeno successorio e la sua normale indipendenza dalla volontà di terzi contraenti sono perfettamente compatibili con la ratio normativa tesa ad attuare, nel maggior grado possibile, il trasferimento dell’attitudine produttiva: i contratti in esame, infatti, spesso trovano nell’azienda oltre che la ragione della loro esistenza, anche lo strumento necessario alla loro esecuzione. Il legislatore ha così inteso consentire all’acquirente, indipendentemente dal consenso del contraente ceduto, l’acquisizione dei fattori d’avviamento fondamentali, seppur esterni all’azienda, quali i rapporti contrattuali costituiti per il suo esercizio.
I contratti cui si riferisce l’art. 2558, c.c. non possono essere che i contratti a prestazioni corrispettive non ancora interamente eseguiti né dall’imprenditore alienante né dai suoi contraenti, e cioè quei contratti da cui sorga un vincolo sinallagmatico attuale, non riconducibile, come tale, né a un puro credito né a un puro debito. Inoltre, la successione ha luogo, secondo il disposto testuale dell’articolo citato, per i contratti stipulati “per l’esercizio dell’azienda”, ossia per quelli oggettivamente inerenti ovvero per quelli pertinenti all’azienda alienata. Nella fattispecie rientrano tanto i contratti stipulati nell’esercizio dell’attività economica tipica cui è destinata l’azienda, quanto i contratti strumentali all’esercizio di tale attività ed attinenti alla organizzazione e alla gestione dell’azienda.
Uniche deroghe alla completa successione si hanno essenzialmente:
- a) quando le parti nel negozio di alienazione si sono accordate in senso opposto;
- b) in relazione ai contratti che abbiano carattere personale.
Va ricordato, infine, che il terzo contraente ha facoltà di recedere dal contratto quando ricorra una giusta causa, entro tre mesi dalla notizia della cessione dell’azienda. La giusta causa di recesso si verifica ogniqualvolta vi sia una situazione obiettiva in base alla quale si possa ritenere che il terzo contraente non avrebbe stipulato il contratto o l’avrebbe stipulato con clausole diverse. Il terzo contraente oltre a poter chiedere lo scioglimento del contratto, ha diritto, ove si siano verificati i presupposti, al risarcimento del danno da parte del cedente.
I rapporti di lavoro
Come per i contratti, anche per quanto riguarda i rapporti di lavoro vale la regola della prosecuzione nelll’ipotesi di cessione.
L’art. 2112 c.c., ai primi due commi, dispone infatti che “In caso di trasferimento dell’azienda, il contratto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. Il cedente ed il cessionario sono obbligati in solido per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento..”. Al riguardo, la giurisprudenza di merito – con riferimento al testo normativo antecedente a quello attuale, così sostituito dal D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 18 – ha avuto modo di chiarire che la tutela dell’art. 2112, secondo comma, c.c., è applicabile anche ai crediti dei lavoratori che hanno già cessato il rapporto al momento del trasferimento. La disposizione citata ribadiva, infatti, il principio generale della responsabilità del cessionario per i debiti inerenti l’azienda ceduta (art. 2560, c.c.) a condizione che risultassero dai libri contabili obbligatori, in modo da evitare l’imprevedibilità dell’onere o frodi in danno dell’acquirente. Conseguentemente “non c’è motivo, nel silenzio della legge, di riferire il comma 2 solo ai rapporti cessati in occasione del trasferimento, privando gli altri lavoratori in credito della garanzia di solvibilità che offre un’azienda ancora efficiente”: testualmente, Trib. Milano 26 novembre 1994, in Orient. giur. lav. 1994, 809.
La responsabilità dell’acquirente
Il secondo comma dell’art. 2560, c.c., statuisce che nel trasferimento di un’azienda commerciale risponde dei debiti aziendali anteriori al trasferimento e risultanti dai libri contabili obbligatori “anche l’acquirente dell’azienda”: i creditori aziendali potranno pertanto contare su due debitori, alienante e acquirente, obbligati in solido secondo il disposto generale dell’art. 1204, che prevede la responsabilità solidale dei condebitori “se dalla legge o dal titolo non risulta diversamente”.
Nonostante il chiaro tenore letterale della disposizione si discute se l’iscrizione delle passività nei libri contabili obbligatori costituisca o meno elemento costitutivo della responsabilità solidale dell’acquirente.
Una prima opinione (invero minoritaria), ritiene che in caso di cessione di azienda il cessionario è chiamato a rispondere dei debiti del cedente risultanti dalle scritture contabili “o comunque a lui noti o conoscibili con la normale diligenza, ai sensi dell’art. 2560 c.c..” (Comm. trib. centr., Sez. XII, 5 dicembre 1995, n. 4171 in Giur. trib., 1996, 1027).
Il prevalente orientamento giurisprudenziale ritiene invece che nessuna responsabilità ex art. 2560 c.c., comma 2, può sorgere in capo al cessionario di una azienda per debiti contratti dal cedente anteriormente al trasferimento se non risultanti dai libri contabili obbligatori di cui all’art. 2214, c.c. (cfr., tra le altre, Cass. 3 marzo 1994, n. 2108, in Bollettino trib., 1995, 712). L’iscrizione nei libri contabili obbligatori di un debito anteriore al trasferimento dell’azienda è, quindi, elemento costitutivo della responsabilità del cessionario e soltanto in tale ipotesi la passività può ritenersi nota al cessionario stesso (si veda, da ultimo, Cass. 3 aprile 2002, n. 4726; conf. Trib. Pavia 3 aprile 1987, in Inform. previd., 1987, 1512).
L’indirizzo seguito dalla giurisprudenza dominante appare condivisibile per una serie di ragioni.
Innanzitutto, esso accoglie un’interpretazione coerente con la ratio dell’art. 2560, c.c.: limitando la responsabilità del cessionario ai soli debiti risultanti dai libri obbligatori, il legislatore ha infatti voluto:
- a) eliminare ostacoli e remore alla circolazione delle aziende;
- b) risolvere il conflitto di interessi fra cedente e cessionario, privilegiando quello di quest’ultimo a rimanere estraneo ai debiti preesistenti al trasferimento salvo che gli stessi emergano dalle scritture contabili e quindi abbiano certamente concorso alla determinazione del prezzo della cessione.
Inoltre, si osserva che, poiché il naturale responsabile dei debiti aziendali è il cedente, l’estensione della responsabilità ad un terzo (il cessionario) ha carattere eccezionale, non suscettibile di applicazione analogica. In particolare, è stato sottolineato che l’art. 2560, secondo comma, costituisce formulazione di norma eccezionale, non estensibile analogicamente “né al caso in cui, come provato aliunde, il cessionario sapeva dell’esistenza di debiti aziendali pregressi, né al caso in cui questi li abbia colposamente ignorati, per essersi astenuto dall’accertare, in presenza di libri contabili non regolarmente tenuti, se esistevano debiti aziendali non emergenti dagli stessi” (Trib. Genova 15 aprile 1992, in Foro pad., 1994, I, 99 con nota di Chiassoni).
Da ciò consegue che il creditore, il quale pretenda dall’acquirente dell’azienda il pagamento dei debiti inerenti all’esercizio di questa prima del trasferimento, ha l’onere di provare il presupposto della responsabilità prevista dall’art. 2560, cioè l’iscrizione di quei debiti nei libri contabili obbligatori; ed è irrilevante la circostanza che dei libri stessi egli non abbia il possesso, potendo chiederne l’esibizione, ai sensi degli artt. 210 e 212, codice procedura civile.
Nell’ipotesi, poi, che detti libri non esistano per qualsiasi ragione, ivi compresa la loro non obbligatorietà per quel dato tipo di impresa, l’inesistenza dei libri non può avere altro effetto fuorché quello di rendere impossibile l’esistenza dell’elemento costitutivo della responsabilità stabilita dall’art. 2560, c.c. (Cass. 29 maggio 1972, n. 1726 in Dir. fall., 1973, II, 80; conforme, Cass. 14 settembre 1967, n. 2158; Cassazione civile sez. III, 20 febbraio 1999, n. 1429).
Evidentemente, nulla esclude che nell’atto di cessione di azienda venga inserita un’apposita clausola in cui si prevede l’obbligo dell’acquirente di pagare i debiti contratti dall’alienante, anche se questi non risultano dai libri contabili.
Febbraio 2005
Cessione di azienda con i relativi crediti e debiti
di Salafia Vincenzo
in Le società, 2008, 3, 289 2008
Dopo l’esame degli artt. 2558, 2559 e 2560 c.c., viene esaminata la questione del trasferimento automatico dell’azione di responsabilità sociale spettante all’imprenditore cedente dell’azienda, costituito da una società di capitali.
* * *
Nozioni generali
L’art. 2082 c.c. definisce l’imprenditore come il soggetto che esercita professionalmente un’attività economica organizzata per la produzione o lo scambio di beni o di servizi.
L’art. 2555 c.c. definisce l’azienda come il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa.
Dal coordinamento delle due norme si ricava che l’azienda e l’impresa sono fenomeni complementari, dei quali il primo costituisce lo strumento che l’imprenditore impiega per l’esercizio dell’attività economica produttiva di beni o servizi, il quale, in quanto di natura professionale, rappresenta l’impresa.
L’attività, in cui questa si esprime, comprende una serie di atti e fatti, fra i quali essenziali sono l’organizzazione delle persone e delle cose, per mezzo delle quali la produzione avviene, la stipulazione dei negozi, per mezzo dei quali viene procurato il lavoro e il capitale di rischio e di credito, nonché eventualmente la copertura assicurativa, e per mezzo dei quali vengono offerti e scambiati sul mercato i beni ed i servizi prodotti.
La figura dell’imprenditore può consistere in una persona fisica o in una organizzazione in forma societaria, fornita talora di personalità giuridica. Se l’imprenditore ha forma collettiva, la gestione dell’azienda può essere attuata o mediante il concorso di tutte le persone che costituiscono la società ovvero per il tramite di persone, scelte fra i soci o anche all’esterno della compagine societaria.
L’azienda o una o più delle sue branche, denominate nel gergo commerciale rami di azienda, costituiscono unità economiche e giuridiche le quali possono costituire oggetto di cessione o di negozi con i quali l’imprenditore, individuale o collettivo, ne trasferisce solo il godimento (usufrutto o affitto).
Nel contratto può anche essere prevista e regolata la cessione dei crediti relativi all’azienda; in difetto di questa regolamentazione il fenomeno sarà regolato dall’art. 2559 c.c., anche se in dottrina, in contrasto con la giurisprudenza, il trasferimento dei crediti viene subordinato ad una espressa pattuizione delle parti [1]. Relativamente ai debiti relativi all’azienda, invece, deve essere applicata la disciplina legale, contenuta nell’art. 2560 c.c., secondo la quale l’alienante non è liberato nei confronti dei creditori, salvo che costoro acconsentano, e l’acquirente risponde di quelli che risultino dai libri contabili obbligatori. La legge non consente deroghe, perché ha stimato necessario tutelare le ragioni dei creditori creando il vincolo della solidarietà fra alienante ed acquirente dell’azienda [2].
Cessione dell’azienda con i relativi crediti e debiti
A prescindere dal regolamento negoziale, con il quale le parti possono disciplinare secondo la propria discrezione il trasferimento dei crediti ed anche dei debiti, senza comunque derogare dalla responsabilità solidale per questi ultimi dell’acquirente, l’interpretazione delle norme contenute negli artt. 2559 e 2560 c.c. presenta qualche problema il cui esame intendo compiere in questa sede.
A prima lettura, potrebbe apparire evidente l’intenzione del legislatore di comprendere nell’oggetto negoziale tutti i rapporti obbligatori pendenti, quelli attivi e quelli passivi.
Se, però, questo fosse stato lo scopo della legge, la sua lettera avrebbe dovuto essere diversa e riferirsi, senza alcuna qualificazione, ai debiti e ai crediti, qualunque ne fosse il titolo e all’unica condizione che fossero imputabili o ascrivibili all’imprenditore cedente.
L’aver voluto qualificarli come relativi all’azienda esprime la volontà di collegarli ad essa.
Non si è trattato, a mio parere, di semplice esigenza di precisione, ma della volontà di far realizzare all’acquirente dell’azienda il fine di acquisirla nella sua complessità economica e giuridica, così come considerata e tenuta presente nella contrattazione.
L’acquirente intende acquistare la disponibilità del complesso dei beni organizzati, funzionale allo scopo della produzione o scambio di beni o servizi. L’integrità del bene negoziato non è costituito solo dai beni e diritti presenti nel momento della contrattazione, ma comprende anche quei beni che ne fanno idealmente parte. Si tratta di quelli, destinati all’azienda, che l’imprenditore ha acquistato e pagato ma non ancora ricevuto e di quelli, consistenti nel prezzo relativo a beni aziendali già giuridicamente trasferiti ma non ancora consegnati agli acquirenti. Nell’uno e nell’altro caso i crediti ed i debiti attengono all’azienda o perché corrispondono ad una ricchezza che ne è già uscita per procurarne un’altra che la sostituirà o ad una ricchezza presente nell’azienda ma in procinto di uscirne.
Che questa sia l’intenzione che ha guidato il legislatore nella formulazione dell’art. 2559 c.c. si ricava dal collegamento con l’art. 2558 c.c., il quale, nel prevedere e regolare la successione automatica dell’acquirente nei contratti, stabilisce che essa riguarda solo i contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda. Questi contratti possono essere ancora pendenti o in parte già eseguiti, in modo tale che ne residuino solo posizioni debitorie o creditorie, le quali sono quelle considerate nei successivi artt. 2559 e 2560 c.c.
Potrebbe trattarsi anche di contratti, rispetto ai quali l’imprenditore alienante abbia subito l’inadempimento dell’altro contraente; in questo caso, se l’imprenditore avesse adempiuto la propria prestazione nell’esercizio dell’azienda, la posizione creditoria nei confronti dell’altro contraente è del tutto uguale a quella già sopra descritta relativamente ai contratti, i cui effetti o la cui esecuzione materiale non siano ancora avvenuti. Se, invece, lo stesso imprenditore subisce l’inadempimento, senza che vi corrisponda un danno emergente dell’azienda, come per esempio quando non è stato ancora pagato il prezzo della fornitura o del servizio, il credito relativo al risarcimento del danno non attiene alla consistenza dell’azienda ma al patrimonio dell’imprenditore. In quanto tale, esso non è entrato nemmeno nella valutazione che l’acquirente dell’azienda, gestita dall’imprenditore cedente, ha fatto; il relativo importo, quando fosse riscosso, non risulterà destinato all’incremento dell’azienda in quanto la sua natura oggettiva non ne comporta necessariamente quella destinazione.
Le stesse considerazioni possono farsi per determinare la categoria dei debiti relativi all’azienda, destinati a seguirne la sorte in quanto nati da rapporti dai quali l’azienda ha ricevuto utilità comprese nel suo complesso.
Il trasferimento dell’azione di responsabilità sociale
Alla luce delle osservazioni sopra svolte, affronto la questione relativa al trasferimento, insieme con l’azienda appartenente ad una società di capitali, del credito per risarcimento danni assunto da questa nei confronti del proprio amministratore a causa di cattiva gestione, dalla quale sono derivati danni, che potrebbero riguardare direttamente l’azienda o anche solo l’attività dell’impresa.
A me pare che la cattiva gestione dell’amministratore, a causa della quale può configurarsi a suo carico l’inadempimento di una o più delle obbligazioni che ha assunto verso la società, anche quando si fosse tradotta in un danno materiale dell’azienda (per esempio, la rottura di una macchina per difetto di manutenzione), produce a favore della società un credito la cui natura oggettiva non ne fa un bene necessariamente destinato a reintegrare il patrimonio aziendale. L’acquirente, nel valutare l’azienda, non prenderebbe in considerazione la macchina rotta e, dunque, l’acquisto del credito della società verso l’amministratore non gli consentirebbe di integrare il patrimonio aziendale, perché in quel patrimonio non esiste la macchina il cui danneggiamento ha prodotto la nascita del credito.
Ovviamente, le parti potranno pattuire anche la cessione di questo credito, in un quadro che veda l’acquirente intenzionato a ripristinare il patrimonio aziendale nella consistenza anteriore al danneggiamento della macchina. Se manca però questa pattuizione, penso che, in applicazione della regola legale contenuta nell’art. 2559 c.c., non se ne possa sostenere la consequenzialità rispetto all’acquisto dell’azienda.
In questo esame non può trascurarsi di considerare che l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore della società per azioni è subordinato dall’art. 2393 c.c. alla deliberazione favorevole dell’assemblea, donde potrebbe nascere il dubbio della sua incedibilità in difetto di questa deliberazione. La società danneggiata è titolare del credito, ma potrebbe apparire priva della relativa azione fino a quando l’assemblea non avrà deliberato positivamente al riguardo. Tuttavia, penso che il dubbio possa risolversi osservando che il credito per risarcimento danni, nella fattispecie considerata, nasce necessariamente con il corredo dell’azione giudiziaria, come tutti i diritti, e che la deliberazione dell’assemblea non svolge una funzione di tutela dell’amministratore, dato che essa dipende dal fatto che il rapporto con l’amministratore è stato istituito in base alla designazione fattane dai soci in assemblea, come correttamente osservava il Vivante [3]. Il trasferimento del credito ad altro soggetto comporterà che la decisione sulla proposizione dell’azione giudiziaria dipenderà dalle modalità con le quali si esprimerà la sua volontà, senza che l’amministratore, al quale viene imputato il danno da risarcire, possa eccepire l’inosservanza del procedimento indicato dal citato art. 2393 c.c.
Credo che si debba stimare, salva diversa volontà delle parti, non trasferito il credito che la società abbia ritenuto di aver acquistato per effetto della chiusura, stimata priva di valida giustificazione, di un’apertura di credito, alla quale attingeva una parte del capitale da impiegare nell’impresa. L’eventuale diritto al risarcimento del danno, ove ne ricorressero le condizioni, non potrà classificarsi fra i crediti relativi all’azienda, nel senso e per lo scopo voluto dalla legge nell’art. 2559 c.c., in quanto esso non farebbe parte del patrimonio che l’acquirente dell’azienda ha negoziato.
Se, invece, in conseguenza di quella chiusura, la società dovesse procedere alla copertura del relativo debito, ove risultasse dai libri contabili la destinazione nell’azienda del capitale ricavato dall’apertura di credito, quel debito dovrebbe classificarsi fra quelli relativi all’azienda e, pertanto,gravante, se risultasse dai libri contabili, in via solidale anche sull’acquirente di essa [4].
Insomma, a me pare che se l’inadempienza dell’amministratore, consistente in cattiva gestione dell’impresa, abbia arrecato danno alla società in termini di minori profitti o maggiori perdite di esercizio, gli effetti colpiranno il patrimonio della società, ma non direttamente l’azienda; produrrà cioè una riduzione delle riserve o addirittura del capitale, inciderà cioè sulla ricchezza del soggetto società ma non su quell’importante elemento del suo patrimonio costituito dall’azienda. Con la conseguenza che il risarcimento del danno non potrà che spettare alla società e non al soggetto che acquisterà la sua azienda, nella quale l’inadempienza dell’amministratore non ha lasciato tracce. Questo credito potrà anche essere trasferito all’acquirente dell’azienda per espressa pattuizione fra le parti, ma non potrà esserlo in applicazione dell’art. 2559 c.c.
L’opinione della dottrina e della giurisprudenza
Alla conclusione sopra esposta mi è sembrato possibile arrivare sulla base delle acute osservazioni che il mio Maestro Giuseppe Auletta rappresentò nelle sue celebri lezioni di diritto commerciale tenute nell’anno accademico 1944/1945 nell’Università di Catania e riportate nel testo ” L’impresa e l’azienda ” [5]. Gli stessi concetti l’illustre e compianto Maestro riportò poi nel commento agli artt. 2555 e ss. nel Commentario al codice civile a cura di Scialoja e Branca e successivamente sotto la voce “Azienda ” I – Dir. commerciale, in Enciclopedia giuridica, vol. IV, Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da G. Treccani, Roma, 1988, 21-2.
La tesi dell’illustre Giurista si fonda sul rilievo che il trasferimento dei crediti al cessionario dell’azienda non può essere giustificato da altra intenzione se non quella di metterlo in condizione di acquistare, anche mediante l’esercizio di essi, i beni che ha considerato nella contrattazione e nella valutazione dell’azienda. Il trasferimento dei debiti era invece giustificato dall’acquisizione dei rapporti relativi e, per quanto riguarda la responsabilità solidale per quelli non trasferiti, dal possesso dell’azienda, che aveva costituito per i creditori correlativi la loro garanzia generica.
L’esame della giurisprudenza dà l’impressione di una interpretazione delle norme citate nel senso di comprendere fra i crediti menzionati dall’art. 2559 c.c. tutti quelli inventariabili al momento del negozio di cessione dell’azienda, senza una speciale analisi della loro fonte e della loro connessione allo scopo di far acquisire all’acquirente l’azienda nella entità in cui l’ha considerato e previsto nel contratto, ma sulla base della loro oggettiva relazione con l’azienda e non con la persona dell’imprenditore, secondo quanto stabilito dall’art. 2558, comma 1, con riferimento ai contratti [6].
Possono al riguardo consultarsi Cass., Sez. Un., 1 ottobre 1993, n. 9802 [7] e Cass. 22 gennaio 1999, n. 577 [8], nelle quali si afferma il trasferimento del credito per indennizzo, conseguente ad accessione cosiddetta invertita, e dalle quali sembra potersi ricavare che i terreni, oggetto della predetta accessione invertita, non esistevano più fra i beni aziendali, perché già occupati dall’opera pubblica su di essi costruita; Cass. 13 giugno 2006, n. 13676 nella quale, invece, si afferma il trasferimento di un credito sorto per effetto di un atto illecito commesso a danno dell’azienda, dalla quale sembra potersi ricavare che nell’azienda, oggetto della cessione, esisteva ancora il danno derivante dall’illecito.
Come si vede, orientamenti con i quali contrasta l’opinione di Auletta da me sopra condivisa, ma coerenti con l’indirizzo tradizionale che, come ho detto, non sembra distinguere fra i crediti che seguono l’azienda nel suo trasferimento, se non per il connotato della loro relatività all’azienda e non anche della loro funzionalità allo scopo di assicurare all’acquirente il conseguimento del complesso dei beni specificamente considerati nella contrattazione, che appunto nell’interpretazione di Auletta costituisce la chiave di lettura delle norme oggetto del presente esame.
Note:
1 Cfr. per un panorama delle opinioni Cintioni-Guerrera, in AA.VV., I trasferimenti di azienda, Milano, 2000, 381 e ss.
2 Cfr. Minneci, Trasferimento di azienda e regime dei debiti, Torino, 2007, 118 e ss.
3 Cfr., Istituzioni di diritto commerciale, Milano, 1935, 114.
4 Cfr. sulla responsabilità solidale dell’acquirente: Cass. 29 aprile 1998, n. 4367, in Giust. civ., 1998, I, 1857; Minneci, op. loc. cit.
5 Cfr., Catania 1945, 76 e ss.
6 Orientamento non condiviso da Cintioli-Guerrera, op. cit., 392.
7 Cfr., in Mass. 1993.
8 Cfr., in Riv. not.,1999, 1235.
Nella cessione dell’azienda in sede fallimentare rileva il prezzo determinato in sede giudiziaria
di Zenati Silvia A.
in GT – Rivista di giurisprudenza tributaria n. 7 /2005, pag. 674
Commento alla Commissione tributaria provinciale Milano, Sez. XL, Sent. 14 febbraio 2005 (7 febbraio 2005), n. 24
Nella cessione d’azienda avvenuta in sede fallimentare esiste un legame diretto tra il prezzo determinato dal Tribunale nella perizia di stima dell’azienda, e il valore venale in comune commercio della stessa, tale da garantire la corrispondenza del prezzo pagato al valore venale in comune commercio dell’azienda: pertanto, laddove non sia configurabile un valore di avviamento, sia perché l’azienda ceduta è rimasto inattiva per un periodo di tempo sufficiente a disperdere la clientela abituale, e quindi a fare venire meno la componente dell’avviamento, sia perché nell’atto di vendita si fa riferimento alla sola cessione di attrezzature, conformemente alla valutazione fatta dal perito, il prezzo della cessione determinato in sede giudiziaria non può essere rettificato.
L’assoggettamento alla procedura fallimentare non consente di presumere l’esistenza dell’avviamento non dichiarato nell’azienda ceduta, e ciò anche se la società fallita, negli anni antecedenti alla sentenza dichiarativa di fallimento ha prodotto ricavi, anche di significativo importo.
Sono queste le conclusione alle quali è pervenuta la Commissione tributaria provinciale di Milano nella sentenza in commento [1], decidendo in merito ad una controversia insorta a seguito dell’impugnazione dell’avviso con il quale l’Agenzia delle entrate aveva parzialmente rettificato il valore dichiarato nell’atto di cessione d’azienda stipulato con una società fallita.
Tale rettifica si basava sul convincimento dell’ufficio accertatore che nel valore dichiarato in sede di cessione fosse stata omessa la voce relativa all’avviamento, la cui esistenza veniva presunta in base al verificarsi, nel periodo antecedente alla dichiarazione di fallimento, di ricavi di vendita.
Infatti, il valore del negozio oggetto di compravendita era stato attribuito totalmente alla voce attrezzature, conformemente alla risultanze della perizia redatta in sede fallimentare.
La perizia aveva presumibilmente omesso di valutare l’avviamento stante l’interruzione dell’attività conseguente alla dichiarazione di fallimento: non risulta, infatti, che nel caso di specie fosse stato autorizzato l’esercizio provvisorio dell’attività ex art. 92 della legge fallimentare.
Tale strumento avrebbe consentito di proseguire lo svolgimento dell’attività di impresa, senza pregiudicare i rapporti commerciali in essere, di riflesso mantenendo in vita quell’elemento immateriale, rappresentato dall’avviamento, che giustifica il maggiore valore che il cedente può ricavare dall’alienazione del complesso aziendale, rispetto al valore dei singoli elementi patrimoniali componenti l’azienda, isolatamente considerati, al netto delle passività.
Nell’atto di compravendita, tuttavia, non risulta alcun riferimento al supposto valore di avviamento, né ai singoli fattori, soggettivi ed oggettivi, che lo compongono: nel caso di specie, trattandosi di un minimarket, tali fattori possono essere ricondotti all’ubicazione dell’esercizio commerciale, al buon nome dell’azienda, alla localizzazione, alla clientela, all’efficienza dell’organizzazione.
La Commissione tributaria di Milano, nella sentenza in commento, ha ritenuto che “un’azienda fallita non ha i requisiti sopra descritti” e perciò ha concluso che “per le aziende vendute dalle procedure concorsuali non può essere calcolata la voce avviamento”.
Il ragionamento, per alcuni versi criticabile, condotto dall’organo giudicante, fa leva sulla considerazione, ritenuta decisiva, che “la situazione fallimentare inficia la valutazione dell’azienda ai valori venali in comune commercio, anche se questa negli anni antecedenti alla sentenza di fallimento ha prodotto ricavi, anche di significativo importo”.
In realtà tale conclusione, se può ritenersi coerente al caso di specie, nel quale lo stesso perito giudiziale aveva omesso di stimare l’avviamento, tuttavia non sancisce un principio generale, come tale applicabile indiscriminatamente a tutte le cessioni di azienda poste in essere in sede fallimentare.
Infatti, è vero che, come affermato nella sentenza in commento, nella fattispecie in esame l’avviamento non è configurabile, da un lato in quanto il locale è rimasto chiuso per un periodo di tempo sufficiente a disperdere la clientela abituale, e quindi a fare venire meno la componente dell’avviamento, e dall’altro perché nell’atto di vendita si fa riferimento alla sola cessione di attrezzature, conformemente alla valutazione fatta dal perito, ma è anche vero che tale ragionamento vale solo nel caso specifico, una volta realizzate entrambe le condizioni della intervenuta chiusura dell’esercizio, e della omessa valutazione dell’avviamento da parte del perito stimatore nominato dal Tribunale.
Al contrario, laddove tali condizioni non fossero riscontrabili, ben si potrebbero verificare ipotesi di procedure concorsuali nelle quali viene ceduta l’azienda, comprensiva di avviamento.
In realtà il collegamento, operato dalla Commissione adìta, tra il prezzo determinato dal Tribunale nella perizia di stima dell’azienda, e il valore venale in comune commercio dell’azienda, apre scenari diversi che non appaiono adeguatamente sviluppati nella motivazione, e che sono legati alla particolare disciplina delle vendite fallimentari.
Le vendite in sede fallimentare: la cessione d’azienda
La cessione di un’azienda che sia appartenuta ad un soggetto assoggettato a fallimento, qualora nell’azienda stessa siano ricompresi solo beni mobili, soggiace alla disciplina della vendita in massa prevista dall’art. 106, comma 2, della legge fallimentare: tale vendita viene autorizzata dal giudice delegato, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, prescrivendo speciali misure di pubblicità [2], purché ve ne sia la necessità, e un’evidente utilità, intesa come la ragionevole certezza di ottenere un prezzo di realizzo notevolmente superiore rispetto a quello che si avrebbe in caso di vendite separate.
La vendita in massa può avvenire a trattativa privata, o ad incanto, ed ha come prezzo di riferimento quello stimato dal perito nominato dal Tribunale.
Stante l’esistenza di queste disposizioni garantiste, si può affermare che il prezzo di vendita formatosi in sede concorsuale ragionevolmente corrisponde al valore di mercato dell’azienda ceduta, con conseguente inibizione del potere di rettifica dello stesso da parte dell’Amministrazione finanziaria, conformemente a quanto già accade per la vendita di immobili in sede di asta pubblica.
Il prezzo di aggiudicazione formatosi in sede di asta pubblica [3], svoltasi nelle forme con o senza incanto, non può, infatti, essere oggetto di rettifica da parte dell’Amministrazione finanziaria, stante il disposto dell’art. 44, comma 1, del D.P.R. n. 131/1986: l’intervento della Consulta [4] che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del previgente art. 42 del D.P.R. n. 634/1972, nella parte in cui limitava il divieto del giudizio di congruità alle sole vendite con incanto, ha chiaramente individuato nel controllo pubblico sulla vendita la vera garanzia di corrispondenza del prezzo pagato al valore venale del bene. Pertanto, anche nei confronti del prezzo di cessione dell’azienda dichiarato nell’atto, va richiamato il principio della immodificabilità del prezzo di aggiudicazione del bene immobile in sede di asta pubblica ex art. 44 del D.P.R. n. 131/1986 [5], atteso che pure in questa ipotesi vale la presunzione di rispondenza del prezzo formatosi in sede coattiva con il valore di mercato del bene trasferito: sarebbe infatti incongruo inibire l’accertamento in relazione ai prezzi dei singoli beni trasferiti, e consentirlo qualora la cessione riguardi un complesso di beni, costituenti l’azienda ceduta [6]. La sentenza in commento, operando un collegamento tra il prezzo determinato dal Tribunale nella perizia di stima dell’azienda, e il valore venale in comune commercio dell’azienda, in realtà sottintende l’inibizione del potere accertatore dell’ufficio sul prezzo dichiarato in atto: infatti, le circostanze che il prezzo di cessione sia un valore stimato da un perito nominato dal Tribunale, che il controllo sulla vendita sia operato dall’autorità giudiziaria, e che siano prescritte particolari misure di pubblicità per le vendite fallimentari, sono tutti fattori che, integrandosi, garantiscono la corrispondenza del prezzo pagato al valore venale in comune commercio dell’azienda.
La disciplina fiscale della cessione d’azienda
Nell’ordinamento tributario, nei casi in cui rileva la nozione di azienda, vale la definizione civilistica dettata dall’art. 2555 c.c., secondo la quale per azienda si intende il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa: l’istituto della cessione d’azienda è preso in considerazione dalla legislazione sull’IVA e sull’imposta di registro per escluderlo dal campo di applicazione della prima imposta [7] e per includerlo nel campo di applicazione della seconda [8]. Il criterio per distinguere il trasferimento d’azienda dalla mera cessione di singoli beni strumentali all’esercizio d’impresa, sta nella sussistenza, o meno, nei beni trasferiti, di elementi organizzativi tali da farne emergere la complessiva attitudine, anche solo potenziale, all’esercizio di impresa. Pertanto si ha cessione d’azienda quando i contraenti pattuiscono il trasferimento dei beni organizzati in vista dell’esercizio dell’impresa, non essendo la sussistenza di tale cessione condizionata all’attualità della gestione dell’azienda medesima: infatti un complesso di beni si qualifica come azienda anche se l’attività economica in funzione della quale esso è organizzato non sia ancora iniziata o sia stata sospesa, essendo sufficiente che il complesso stesso sia caratterizzato dall’obiettiva attitudine all’esercizio dell’impresa [9].
La configurabilità della cessione d’azienda in sede fallimentare
La circostanza che la cessione d’azienda avvenga nell’ambito della procedura fallimentare, nel quale il normale funzionamento viene interrotto, non è stato ritenuto dall’Amministrazione finanziaria elemento ostativo alla configurazione della fattispecie: infatti, “perché sia configurabile una cessione d’azienda, a nulla rileva la circostanza che la cessione avvenga in sede fallimentare, ovvero che non sussista al momento della cessione un’attività produttiva, atteso che la qualificazione di azienda discende dalla circostanza che ci sia un’organizzazione di beni potenzialmente idonea a realizzare un’attività d’impresa” [10]. Questo orientamento è condiviso dalla giurisprudenza di legittimità [11], laddove riconosce che non è necessario, per potersi configurare una cessione d’azienda, il collegamento ad una realtà operativa, in quanto la continuità dell’azienda è cosa diversa dalla sua cessione. Anche la dottrina [12], malgrado la carenza di disposizioni normative specifiche, è orientata a favore dell’ammissibilità della vendita fallimentare d’azienda: elementi a favore vengono rinvenuti nella presenza di un mezzo di conservazione temporanea dell’azienda stessa, quale l’affitto, nel disposto dell’art. 47, n. 5, della legge 26 dicembre 1990, n. 428, che pone disposizioni per i lavoratori subordinati nel caso di trasferimento di azienda di imprenditore fallito, e soprattutto nell’art. 4, comma 4, della legge 23 luglio 1991, n. 223, che ha sancito il diritto di prelazione, in ipotesi di vendita successiva, in favore dell’imprenditore che a titolo di affitto abbia assunto la gestione di un’azienda appartenente ad impresa assoggettata a procedura concorsuale a carattere liquidatorio. Si può pertanto concludere che in sede fallimentare la fattispecie descritta può validamente realizzarsi, in quanto l’idoneità a svolgere un’attività produttiva può intravedersi anche come conseguenza potenziale dell’organizzazione dei beni [13].
Note:
1 Si veda anche il commento di C. Pino, in C.T. n. 17/2005, pag. 1351, “Non è tassabile l’avviamento di un’azienda fallita”.
2 In proposito si rinvia a quanto disposto dall’art. 490, commi 1 e 3, c.p.c.
3 Il concetto di asta pubblica va interpretato con riferimento alle sole aste effettuate con l’intervento di organi pubblici, o quanto meno con la garanzia di un controllo pubblico, conformemente a disposizioni di diritto pubblico: cfr. G. Arnao, Manuale dell’imposta di registro, IPSOA, Milano, 1999, pag. 298.
4 Corte cost., 28 novembre 1983, n. 328, in BANCA DATI Big, IPSOA.
5 Tale principio è stato ritenuto applicabile anche qualora il trasferimento immobiliare sia assoggettato ad IVA, nella considerazione che l’attuale formulazione del citato art. 44 del D.P.R. n. 131/1986 deriva dall’intervento della Corte costituzionale, in precedenza richiamato, e basato sul rilievo che il prezzo di vendita formatosi in sede concorsuale sia assistito dalla presunzione di corrispondenza al valore di mercato.
6 G. Bozza, La vendita dell’azienda nelle procedure concorsuali, Milano, 1988, pag. 258.
7 Art. 2, comma 3, lett. b), del D.P.R. n. 633/1972: “Non sono considerate cessioni di beni: + le cessioni e i conferimenti in società o altri enti, compresi i consorzi e le associazioni o altre organizzazioni, che hanno per oggetto aziende o rami di aziende”.
8 Per il combinato disposto degli artt. 3, comma 1, lett. b, 23, comma 4, 51, comma 4, del D.P.R. n. 131/1986, e 2 della Tariffa allegata, parte I.
9 In questo senso, cfr. Cass., 9 luglio 1992, n. 8362; Id., 13 dicembre 1996, n. 11149; Id., 25 gennaio 2002, n. 897, in BANCA DATI Big, IPSOA.
10 Cfr. R.M. 4 dicembre 1990, n. 660026, in C.T. n. 7/1991, 456; in senso conforme cfr. R.M. 28 novembre 1973, n. 503091, in BANCA DATI Big, IPSOA; Id., 7 maggio 1980, n. 369817, ivi; Id., 7 agosto 1986, n. 220139, ivi.
11 Cass., 9 agosto 1991, n. 8678, in BANCA DATI Big, IPSOA; Id., 9 luglio 1992, n. 8362, ivi; Id., 26 luglio 1993, n. 8365, ivi; Id., 13 dicembre 1996, n. 11149, ivi; Id., 6 maggio 1997, n. 3950, ivi; Id., 28 aprile 1998, n. 4319, ivi; Id., 25 gennaio 2002, n. 897, ivi; Id., 20 giugno 2002, n. 8973, ivi.
12 Cfr. A. Bonsignori, “La vendita d’azienda” in Le procedure concorsuali. Il Fallimento, Trattato diretto da G. Ragusa Maggiore e G. Costa, Torino, 1997, vol. 3, pag. 480; G. Rivolta L’affitto e la vendita dell’azienda, Milano, 1973, pag. 61; G. Tarzia, “L’alienazione dell’azienda nelle procedure concorsuali”, in Atti del convegno SISCO, Milano, 1990, pagg. 128 e 129; S. Zenati e L. Mandrioli, I tributi nel fallimento, Milano, 2000, pag. 272.
13 G. Arnao, op. cit., pag. 134.