- 23 Febbraio 2023
Nuovo metodo di valutazione basato su criteri finanziari e patrimoniali costituente variante del metodo del Discounted Cash Flow
La valutazione dell’azienda in crisi, brevi riflessioni sulle metodologie valutative
Oggi la stima del valore di un’azienda non può prescindere dall’analisi delle conseguenze che il COVID-19 avrà sull’economia in generale e sul settore di appartenenza dell’impresa oggetto di valutazione in particolare.
Le avversità indotte dalla pandemia in corso (lockdown, riduzione della propensione al consumo di prodotti o servizi discrezionali, ecc.) possono senz’altro generare uno stato di crisi aziendale o comunque concorrere a determinarlo.
Molti settori subiranno infatti perdite più o meno consistenti e non tutte le imprese saranno purtroppo capaci di farvi fronte in assenza di adeguati aiuti esterni. L’impatto del corona virus sull’economia non è al momento esattamente quantificabile e dipenderà in particolare dalla durata del lockdown[1]. Allo stato possiamo solo augurarci che questo virus ci lasci in pace il prima possibile, e non solo per ragioni economiche.
Lo scopo del presente articolo è quello di delineare, brevemente, talune modalità tecniche di elaborazione del calcolo del valore dell’azienda che possano risultare consone alle aziende in stato di crisi.
Va evidenziato che anche nell’ipotesi in cui l’impresa fosse, malauguratamente, costretta a portare i libri in tribunale, a causa del suo stato di (conclamata) insolvenza[2], più o meno provocato dalla diffusione del contagio da coronavirus, la valutazione dell’azienda da essa gestita non può in genere prescindere dall’esame dei flussi finanziari o reddituali che potrebbero essere con essa raggiunti in futuro.
Anche se sovraindebitata, al punto di andare incontro al fallimento o eventualmente ad altra procedura (giudiziale o extragiudiziale) di ristrutturazione della debitoria, di un’impresa occorre sempre valutare l’opportunità che essa possa essere risanata e che possa per tale via generare nel tempo flussi superiori a quelli ricavabili mediante la liquidazione separata del patrimonio.
Secondo l’analisi a quattro scenari svolta dal Prof. A. Damodaran, nel paper “Valuing Distressed and Declining Companies” di giugno 2009, nell’ipotesi di impresa in fase di declino reversibile e low distress (basso grado di indebitamento e scarsa probabilità di default) egli prevede che il valore possa essere costituito da quello medio derivante dalla ponderazione dei valori emergenti dal calcolo dell’azienda in funzionamento (going concern value) con aspettativa di declino (con il management esistente) e con aspettativa di risanamento (con un management migliore), in base alla probabilità che si realizzi effettivamente un avvicendamento nel management aziendale. Nell’ipotesi di impresa in uno stadio di declino irreversibile e low distress prevede invece di assumere quale valore dell’azienda quello più alto tra quello dell’impresa in funzionamento (going concern) e quello di (ordinata) liquidazione. Nel caso in cui l’impresa avesse un alto grado di indebitamento e rischio di fallimento (high distress) occorrerebbe anche determinare, partendo dall’expected value risultante dalla stima dell’azienda in fase di declino reversibile o irreversibile (low distressed), la probabilità di distress, tenendone adeguatamente conto in sede di valutazione.
Di fondamentale importanza è quindi la verifica della sussistenza del presupposto della continuità aziendale (o going concern); se tale presupposto sussiste in termini oggettivi si opta per un metodo basato sui flussi altrimenti su un metodo patrimoniale semplice o complesso.
Al fine di definire il presupposto della valutazione, se liquidatorio od in continuità aziendale, occorre guardare all’azienda in sé (stand alone) e non al soggetto che la gestisce in un determinato momento, che può essere andato incontro allo stato di insolvenza per cause interne rimuovibili da parte di altro operatore economico.
Si procede in particolare alla valutazione basata sui flussi tutte le volte in cui dalla prosecuzione dell’attività di impresa mediante la gestione di quella determinata azienda possano derivare flussi finanziari o reddituali generanti (mediante la loro capitalizzazione e/o attualizzazione) valori superiori a quelli derivanti dalla sua liquidazione, in blocco o per singoli cespiti.
[1] Secondo una ricerca (12/5/2020) dell’Area studi di Mediobanca condotta sui bilanci del primo trimestre 2020 (confrontati con lo stesso periodo dell’anno precedente) delle 25 società industriali e di servizi quotate sul FTSE MIB i settori che hanno maggiormente risentito dell’impatto del COVID-19 sono quelli “Fashion” (Ricavi: -14,1%; Ebit: – 81,5%), Oil & energy (Ricavi: -15,9%; Ebit: – 87,8%), Mezzi di trasporto (Ricavi: – 10,8%; Ebit: – 88,0%). La gran parte delle imprese hanno rivisto in negativo le proprie stime dell’anno 2020 a causa dell’impatto del COVID-19 prevedendo riduzioni dei ricavi, dell’Ebit e dell’EPS, con un parziale recupero nel secondo semestre del 2020, più marcatamente a partire dal 4° trimestre, ed un rimbalzo nel 2021.
Secondo Confcommercio (30/4/2020) nel mese di marzo 2020 i consumi nei diversi settori hanno registrato le seguenti variazioni tendenziali: auto (-85,4%), trasporto aereo (-81,0%), hotel (-75,0%), bar e ristoranti (-68,4%), abbigliamento e calzaturiero (-67,4%), tessile e prodotti per la casa (-66,2%), ricreazione e cultura (-60,1%), carburanti (-44,0%); in aumento: cibo e bibite (+9,6%), telecomunicazioni (+8,0%), Farmaceutico e sanitario (+4,0%), tabacchi (+3,5%).
[2] In caso di fallimento (liquidazione giudiziale) dell’azienda viene ceduta solo la parte “operativa” mentre i debiti così come i crediti maturati vengono regolati nell’ambito della procedura fallimentare.
La verifica dell’esistenza del presupposto della continuità aziendale, e quindi dell’opportunità di mantenere in essere il complesso organizzato dei beni, passa prioritariamente per l’analisi delle cause della crisi, se in essere, al fine di valutare l’opportunità di un suo proficuo risanamento, mediante la loro mitigazione od eliminazione in radice.
Dette cause di crisi aziendale non vanno confuse con quelli che ne sono i sintomi, quali la scarsa liquidità, l’incapacità di pagare i creditori con regolarità, la riduzione dei ricavi, il peggioramento dei margini di profitto, il conseguimento di perdite, l’eccessivo indebitamento, il sostenimento di costi finanziari particolarmente elevati, il deficit patrimoniale, la caduta degli ordinativi e delle commesse, eccetera eccetera.
Le vere cause dello stato di crisi eventualmente esistente vanno ricercate in particolare attraverso l’analisi dell’andamento dei principali “drivers” del successo dell’impresa, che variano da settore a settore.
L’analisi degli indici e dei flussi consuntivi rappresentano verosimilmente il principale metodo di analisi, che va tuttavia integrato con un efficace sistema di budgeting al fine di anticipare i segnali della crisi, soprattutto in questa fase, che tenga conto del prevedibile futuro atteggiarsi dei drivers e delle conseguenze derivanti da cause negative che non hanno ancora espletato appieno il loro impatto sui conti aziendali ma che tuttavia incidono sul prevedibile futuro andamento delle commesse e sulle incidenze sui ricavi dei costi aziendali.
Attraverso l’analisi di bilancio si rileva prima di tutto quando gli indici o i flussi sono peggiorati, di quanto essi divergano da quelli riscontrabili nel settore o da un campione di imprese concorrenti.
Quando risulta che l’azienda è oggettivamente ed irrimediabilmente in perdita o comunque non sia in grado di generare flussi adeguati non resta che la strada della liquidazione e quindi della valorizzazione patrimoniale.
Ma la somma dei valori correnti di mercato degli asset aziendali distintamente considerati rappresenta un valore (patrimoniale) effettivamente realizzabile solo nel caso in cui di essi altri ne possano fare un uso migliore, dal momento che l’azienda valorizzata attraverso i flussi finanziari o reddituali genera un valore più basso. Non a caso quando si esegue una stima con metodo patrimoniale il valore calcolato viene sottoposto alla prova di tenuta mediante confronto con il valore derivante dalla capitalizzazione dei flussi.
Considerato che un’impresa in fase di declino opera spesso con rendimenti operativi inferiori al costo medio del capitale e che pertanto finisce per generare un valore “going concern” inferiore a quello patrimoniale perché allora non attribuire ad essa il massimo possibile del valore patrimoniale già generato dall’esercizio dell’impresa anche nel caso si utilizzi un metodo basato fondamentalmente sulla capitalizzazione dei flussi.
Al fine di agganciare maggiormente il valore dell’azienda al suo patrimonio anche per le imprese per le quali esista il presupposto della continuità aziendale (benché in fase declino o di crisi), senza far ricorso ai metodi patrimoniali o misto reddituale-patrimoniale, si potrebbe cioè pensare all’adozione di un metodo misto, basato su criteri finanziari e patrimoniali, consistente nella stima mediante attualizzazione/capitalizzazione dei flussi finanziari del solo valore degli asset produttivi, costituiti dalle immobilizzazioni materiali ed immateriali, e stimando invece separatamente, al loro corrente valore di mercato, gli altri asset aziendali (capitale circolante netto ed immobilizzazioni finanziarie).
I flussi non dovrebbero “valorizzare” tutto o quasi, come avviene ad esempio mediante l’uso del metodo del discounted cash flow, ma solo la parte “realmente operativa” dell’azienda, quella generatrice dei flussi finanziari e reddituali, lasciando invece inalterati i valori (in realtà) già generati dall’attività dell’impresa alla data della valutazione, vale a dire i crediti ed i debiti gestionali (operativi) nonché le scorte di magazzino (il capitale circolante netto).
Come noto, il metodo del discounted cash flow, il più utilizzato nella prassi aziendalistica, fa derivare il valore dell’intera azienda (Enterprise value) dai flussi operativi di cassa, prescindendo del tutto dall’importo del capitale circolante netto formatosi per effetto della gestione alla data della stima.
Il metodo del Discounted Cash Flow [3] tiene conto del circolante netto in termini di flussi, anziché sotto forma di stock, mediante la contemplazione in essi delle variazioni (positive o negative) intervenute in un esercizio nel capitale circolante netto.
[3] Formula DCF, nella versione più usata (Asset side):
Nel metodo del Discounted cash Flow, come noto, i flussi operativi di cassa (nella formula in nota denominati “FDCF”, vale a dire Free Debt Cash Flow”) sono, infatti, determinati nel modo seguente:
Reddito operativo netto
– imposte figurative
= Nopat (Net Operating Profit After Tax)
+ Ammortamenti ed altri costi figurativi (accantonamenti)
– Investimenti in capitale fisso
– Investimenti in capitale circolante netto
= Free Debt Cash Flow (FDCF)
Risulta però difficile da spiegare ad un imprenditore il motivo per cui il valore del capitale circolante netto alla data della stima non venga preso in considerazione nonostante sia lì e si sia formato proprio per effetto dell’attività operativa dell’impresa.
D’altronde se un’impresa è in crisi potrà anche immaginare di porre in essere operazioni di ristrutturazione dei debiti che non potrebbero non contemplare anche quelli di natura operativa, quali quelli verso i fornitori, gli enti previdenziali, l’Erario, e gli altri rientranti nel capitale circolante netto.
Appare inoltre più opportuno, in sede di stima dell’azienda, considerare il capitale circolante netto quale stock anziché in termini di variazione incidente sul cash flow anche per la circostanza che le componenti del capitale circolante netto sono destinate tutte a rientrare nel tempo da un punto di vista finanziario.
Così, ad esempio, se i debiti verso fornitori aumentano nell’esercizio non appare giustificato migliorare il cash flow (generando l’aumento dei debiti una riduzione del capitale circolante netto dell’esercizio) visto che alla fine della fiera essi, una volta formatisi per effetto della gestione dell’impresa, dovranno comunque essere pagati. Piuttosto che “inquinare” il cash flow operativo – che verrà poi attualizzato e capitalizzato nel terminal value – sembrerebbe quindi più logico dedurre semplicemente il valore del debito formatosi alla data della stima. Lo stesso discorso vale, a contrario, per i crediti, in quanto se essi crescono nel corso di un esercizio non appare razionale ridurre i flussi operativi del medesimo esercizio (generandosi in tal caso un incremento del CCN) visto che i medesimi vengono comunque generati per effetto dello svolgimento dell’attività d’impresa e, si spera, poi incassati.
L’idea, allo scopo di avvicinare il valore dell’azienda a quello patrimoniale, rendendo più “palpabile” la stima eseguita, è quindi quella di stralciare le variazioni del capitale circolante netto dal computo dei flussi operativi, considerandone il valore assoluto esistente alla data della valutazione come componente di carattere patrimoniale (stock); si consideri al riguardo che le poste del capitale circolante netto sono molto prossime al numerario ed entrano a pieno titolo nel primario indicatore di liquidità aziendale.
Fatte tali sintetiche premesse procedo di seguito, al solo scopo di esemplificare l’applicazione del metodo, alla stima di un’ipotetica impresa operante nel settore dei trasporti, prevedendo, a cagione delle conseguenze della pandemia in corso, una riduzione di fatturato e del reddito operativo netto (Ebit) nell’anno 2020, rispettivamente del 12% e dell’84,5%, ed una progressiva ripresa negli anni a venire.
Il metodo che adotterò per la stima dell’azienda “campione” si basa come anticipato su criteri finanziari e patrimoniali ed è espressa dalla seguente formula (che rappresenta una mera variante del Discounted Cash Flow):
dove:
Nell’esempio si assume che le aziende del settore non erano in crisi antecedentemente allo scoppio dell’epidemia da corona virus (generata da un evento straordinario esogeno) e che le difficoltà indotte benché gravi abbiano una durata temporanea.
PER CONTINUARE A LEGGERE SCARICATE LIBERAMENTE L’ARTICOLO COMPLETO QUI ALLEGATO