- 23 Febbraio 2023
Il 17-12-2009 l’OIC ha approvato l’Applicazione n. 2 esplicativa dello IAS n. 36. Essa costituisce una guida operativa all’applicazione dell’impairment test sull’avviamento e sulle altre attività non correnti ricollegabili alle CGU.
Applicazione OIC 12-2009, n. 2
1. Premessa
[Premessa]
Nelle sue Guide Operative sugli aspetti applicativi degli IAS/IFRS (la Guida 2 e la Guida 3 ), l’OIC si è anche soffermato sull’applicazione delle disposizioni per la rilevazione e l’informativa relative alla riduzione di valore delle attività. Le note, recenti e perduranti vicissitudini dei mercati finanziari hanno prodotto – tra le loro conseguenze – la necessità per le imprese di porre particolare attenzione all’applicazione della disciplina relativa alle perdite di valore.
Le disposizioni dello IAS 36 “Riduzione di valore delle attività” illustrate in questo documento si applicano a tutte le società che utilizzano i principi contabili internazionali nella redazione del bilancio. La presente Applicazione fornisce talune considerazioni ed esemplificazioni sulla modalità di applicazione dello standard alle imprese mercantili, industriali e di servizi. Le considerazioni e le esemplificazioni relative alle imprese bancarie ed assicurative saranno esaminate con appositi documenti, per tenere conto delle peculiarità dei settori di appartenenza.
Si precisa, inoltre, che differenti metodologie, ancorché non esplicitamente illustrate nel presente documento, possono comunque risultare conformi alle disposizioni generali dello IAS 36 .
Per semplicità di lettura, si riassumono qui di seguito le caratteristiche fondamentali delle disposizioni dello IAS 36.
Applicazione OIC 12-2009, n. 2
1. Premessa
1.1 I Principi contabili applicabili per le diverse attività
Le problematiche inerenti la rilevazione delle perdite di valore sono trattate dal principio contabile internazionale IAS 36, Riduzione di valore delle attività, che tuttavia esclude dal proprio ambito di applicazione alcune fattispecie, per le quali fa esplicito rinvio ad altri principi internazionali. Per praticità, si riepilogano qui di seguito per tipo di attività i relativi principi di riferimento:
Tipologia di attività Riferimento
Immobili, impianti e macchinari IAS 36
Investimenti immobiliari valutati al costo
Attività immateriali
Avviamento derivante da aggregazione d’imprese
Partecipazioni in società controllate, collegate e joint
venture
Rimanenze IAS 2
Attività derivanti da lavori su ordinazione IAS 11
Attività fiscali differite IAS 12
Attività derivanti da benefici per dipendenti IAS 19
Attività finanziarie IAS 39
Investimenti immobiliari valutati al fair value IAS 40
Attività biologiche IAS 41
Attività derivanti da contratti di assicurazione IFRS 4
Attività non correnti classificate come possedute per la
Vendita IFRS 5
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1. Premessa
1.3 La capitalizzazione di borsa e le valutazioni d’azienda
Nei capitoli successivi sono espresse le considerazioni più rilevanti ai fini dell’applicazione delle disposizioni IAS/IFRS per le fattispecie ivi considerate. In termini generali, invece, si vuole qui sottolineare come l’indicatore riportato come “valore contabile del patrimonio netto superiore alla capitalizzazione di mercato” abbia un carattere particolare, in quanto riferito alla globalità dell’impresa, vista cioè nel suo assieme; tale indicatore risulta inoltre particolare anche in conseguenza di una situazione fortemente anomala dei mercati finanziari e delle conseguenze che essa produce anche sui mercati non finanziari (materie prime, commodities , ecc.) e sull’economia cosiddetta “reale”.
Non necessariamente, quindi, i valori espressi dai mercati finanziari in termini di valore di capitalizzazione delle imprese quotate debbono di per sé essere considerati indicativi della possibilità di una perdita di valore delle attività possedute dall’impresa: la presenza di una capitalizzazione di borsa significativamente inferiore all’ammontare del patrimonio netto contabile dell’impresa può rappresentare il primo dei passi logici del diagramma sopra riportato. Da qui, la necessità di valutare attentamente per ogni singola attività o CGU se altri indicatori di perdita di valore possano aver subito tale effetto, e, conseguentemente procedere alla verifica (impairment test) per quelle CGU o singole attività per le quali siano emersi ulteriori indicatori.
Occorre infine precisare che il procedimento valutativo necessario sia per determinare la presenza o l’assenza di una perdita di valore, sia per l’eventuale misurazione della stessa, non deve essere confuso con i procedimenti che vengono professionalmente adottati per le valutazioni d’azienda. Queste ultime, infatti, hanno l’obiettivo di esprimere un valore – assai spesso una gamma di valori – che può essere attribuito all’azienda nel suo complesso e nel suo stato di funzionalità; di converso, il procedimento necessario alla valutazione e determinazione di una perdita di valore ha l’obiettivo – assai diverso – di esaminare la possibilità che le attività “non correnti” (cioè recuperabili nel medio – lungo termine) abbiano un valore inferiore al loro rispettivo valore contabile individuale al momento della verifica.
Lo IAS 36 prescrive, infatti, che il valore d’iscrizione delle attività non sia superiore al valore recuperabile, e cioè al maggiore tra l’ammontare che l’impresa stima di ottenere attraverso l’utilizzo delle attività stesse (valore d’uso o value in use, normalmente determinato al valore attuale dei flussi finanziari attesi dall’uso continuativo dell’attività) e il valore ottenibile per mezzo della loro vendita (fair value dedotti i costi necessari per attuare la vendita o fair value less cost to sell). Nel caso in cui il valore contabile ecceda quello recuperabile, e quindi laddove l’attività abbia subito una riduzione di valore, questa deve essere rilevata con effetti al conto economico.
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2. Alcuni concetti generali sull’avviamento
Tra le attività di una impresa che possono essere particolarmente soggette a problemi di perdita di valore è certamente iscrivibile l’avviamento, una attività immateriale alla quale gli IAS/IFRS dedicano un particolare trattamento, sia ai fini della sua rilevazione, che della sua misurazione, sia a causa della sua possibile volatilità, della sua variabilità nel tempo, della sua indeterminatezza nella durata, che in ragione della possibile soggettività nel suo riconoscimento.
Esula dallo scopo di questo documento la trattazione dell’intera disciplina contabile dell’avviamento, per la quale si rinvia agli applicabili principi contabili internazionali. Tuttavia, sono in questa sede opportune alcune precisazioni generali in quanto necessarie per una migliore comprensione delle problematiche applicative delle perdite di valore.
L’avviamento può essere definito come l’accrescimento riconosciuto del valore intrinseco di una impresa, o di un segmento dell’impresa, e può trarre origine da svariate cause, quali il miglioramento del posizionamento dell’impresa sul mercato, l’extra reddito generato da prodotti innovativi o di ampia richiesta, eccetera.
Dal punto di vista della sua provenienza, l’avviamento può essere generato internamente all’impresa stessa, ovvero può derivare da una acquisizione di altra impresa o di parte di altra impresa, cioè da una operazione di aggregazione aziendale.
L’avviamento generato internamente non può essere contabilmente rilevato. Relativamente, invece, all’avviamento derivante da una aggregazione aziendale, lo IFRS 3, Aggregazioni aziendali, al paragrafo 52 indica che: “L’avviamento acquisito in una aggregazione aziendale rappresenta un pagamento effettuato dall’acquirente in previsione di benefici economici futuri derivanti da attività che non possono essere identificate individualmente e rilevate separatamente”.
Il trattamento contabile delle aggregazioni aziendali è quindi disciplinato dallo IFRS 3 , nell’ambito della più ampia disciplina contabile delle operazioni di questo tipo. Al contempo, occorre tenere presente che l’IFRS 3 [1] non si applica:
a. alla costituzione di una joint venture;
b. all’acquisizione di un’attività o di un gruppo di attività che non costituisce un’attività aziendale . In tali casi, l’acquirente deve identificare e rilevare le singole attività acquisite identificabili (incluse quelle attività che soddisfano la definizione di, e i criteri di rilevazione per, attività immateriali di cui allo IAS 38, Attività immateriali) e le singole passività identificabili assunte. Il costo del gruppo deve essere imputato alle singole attività e passività identificabili sulla base dei rispettivi fair value (valori equi) alla data di acquisto. Tale operazione o evento non genera avviamento;
c. ad una aggregazione di imprese o attività aziendali sotto controllo comune.
Dalle indicazioni qui sopra riportate si deduce che l’avviamento è una attività immateriale generica, poiché non può essere identificato individualmente, né può essere separato dall’azienda stessa, al contrario di tutte le altre attività immateriali identificate e ad esso viene attribuita una vita utile indefinita (con il che non si vuole naturalmente intendere “infinita”) alla quale – quindi – non può applicarsi la nozione di “ammortamento”, come specificato dal paragrafo 107 dello IAS 38 .
La verifica dell’esistenza di perdite di valore delle attività immateriali aventi vita utile indefinita deve essere effettuata almeno annualmente, e ciò indipendentemente dal fatto che si siano rilevati o meno elementi indicatori di una possibile perdita. In altre parole, tale verifica è obbligatoria e deve essere ripetuta come minimo ad ogni anno. Infine, deve ricordarsi che l’avviamento deve essere allocato alle relative cash generating unit al momento della aggregazione aziendale da cui trae origine (fatto salva la possibilità di completare tale allocazione entro i dodici mesi successivi a tale operazione, come meglio specificato nel paragrafo 3.2. “L’allocazione dell’avviamento alle CGU “).
Note:
1 Testo estratto dalla versione rivista dell’ IFRS 3 nel Gennaio 2008
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3. Le cash generating unit ai fini dell’impairment test
3.1 Le caratteristiche delle CGU
L’ impairment test deve essere applicato alle singole attività non correnti, oppure a raggruppamenti di attività non correnti, quando non sia possibile definire che una singola attività sia di per sé capace di generare autonomi flussi finanziari in entrata: tale situazione si verifica assai frequentemente, poiché, in genere, una singola attività non possiede questa capacità. Tali raggruppamenti sono detti CGU, ossia “unità generatrici di flussi finanziari”.
Lo IAS 36 , paragrafo 6, definisce unità generatrice di flussi finanziari (di seguito anche cash generating unit o CGU) come: “il più piccolo gruppo identificabile di attività che genera flussi finanziari in entrata che sono ampiamente indipendenti dai flussi finanziari in entrata generati da altre attività o gruppi di attività “.
Poiché i criteri per l’effettuazione della verifica di una riduzione di valore vengono applicati ad unità di riferimento rappresentate dalle singole CGU, la determinazione delle stesse, il loro tipo, le loro dimensioni ed i criteri di allocazione dei valori agli elementi che le costituiscono sono aspetti determinanti ai fini della corretta applicazione dei criteri disciplinati dallo IAS 36 per la determinazione e misurazione delle relative eventuali riduzioni di valore.
Due tra i principali aspetti della definizione più sopra riportata che possono richiedere un chiarimento sono quindi:
– la determinazione della CGU (o il più basso livello al quale si possa definire una CGU);
– la separabilità (indipendenza) dei flussi finanziari prodotti da una CGU rispetto ad altre CGU.
3.1.1 La determinazione della CGU
Come evidente dalla definizione di cui sopra, si richiede che le CGU debbano essere determinate al livello più basso possibile di aggregazione delle attività [1] (intese come singoli elementi). Come determinare tale livello, naturalmente, è risultante dall’effetto combinato di varie considerazioni, quali la natura dell’attività dell’impresa ed il settore in cui opera, la sua struttura produttiva ed organizzativa, la natura del “prodotto” della CGU (la base, cioè, per la misurazione dei flussi finanziari in entrata), ed altri fattori tipici per l’impresa.
Data la notevole varietà di elementi da tenere in considerazione e le diverse configurazioni che gli stessi possono assumere, non è, ovviamente, possibile definire delle “regole” di determinazione specifiche applicabili alle diverse fattispecie. Lo IAS 36, quindi, al fine di chiarire tali modalità si limita a fornire alcuni esempi necessariamente generici [2]. Pur tuttavia, può essere definito un approccio generale per la determinazione della CGU, attraverso le considerazioni che possono appunto portare a tale identificazione, alcune delle quali possono ad esempio essere:
– l’organizzazione del sistema informativo impostato dalla direzione dell’impresa per misurare i risultati conseguiti/desiderati dai vari settori componenti il processo gestionale in coerenza con l’IFRS 8 [3];
– la suddivisione della gestione dell’impresa in elementi diversificati in base a criteri di dislocazione geografica, di separazione fisica, di diversificazione delle responsabilità assegnate per il raggiungimento dei risultati desiderati;
– la differenziazione dei mercati, della clientela, della tipologia dei prodotti e/o servizi forniti dall’impresa.
Una ulteriore disposizione dello IAS 36 ha effetto sulla identificazione della CGU: il paragrafo 70 dello IAS 36 dispone infatti che: “se esiste un mercato attivo [4] per il prodotto di una attività o di un gruppo di attività, tale attività o gruppo di attività deve essere identificato come un’unità generatrice di flussi finanziari, anche se alcuni o tutti i suoi prodotti sono usati internamente”.
Questa disposizione è infatti coerente con l’obiettivo che i principi contabili internazionali si pongono nel disciplinare la determinazione delle eventuali riduzioni di valore al più basso livello di analisi delle attività dell’impresa: l’esistenza di un mercato attivo per un certo prodotto indica che già a quel livello sono misurabili sia i flussi finanziari in entrata che il valore d’uso dell’attività o gruppo di attività che tale prodotto ha generato.
3.1.2. La separabilità dei flussi finanziari (CGU con integrazione verticale)
Quando è impossibile identificare oggettivamente i flussi finanziari in entrata, l’impresa deve aggregare in una CGU di livello superiore quelle unità i cui flussi finanziari sono direttamente o indirettamente, parzialmente o totalmente autonomi. Tale processo di aggregazione di unità, in casi particolarmente complessi potrebbe richiedere di essere eseguito più di una volta, ed in ogni volta passando al livello immediatamente superiore, sino al momento in cui i flussi finanziari possano essere identificati in modo ampiamente indipendente dagli altri processi produttivi (IAS 36, paragrafo 68).
Tale procedimento assume chiara evidenza nel caso di una impresa il cui processo produttivo sia scomponibile in varie unità che ad esso concorrono, ma anche che le stesse unità produttive siano integrate in un processo verticale; ad esempio, laddove il prodotto dell’unità A sia propedeutico al processo svolto dall’unità B, a sua volta propedeutico all’unità C, ma anche che ognuna delle fasi successive condizioni l’esecuzione del processo della fase precedente (si pensi alle diverse fasi di una catena di montaggio in cui le attività produttive di una fase non vengono avviate se non vi è tale richiesta da parte delle fasi successive).
Note:
1 Cfr. IAS 36 , paragrafo BCZ 115.
2 Cfr. IAS 36 , Esempi illustrativi: (a) catena di negozi al dettaglio; (b) stabilimento utilizzato in una fase intermedia di un processo produttivo; (c) entità mono – prodotto (d) testate giornalistiche; (e) edificio per metà affittato a terzi e per metà utilizzato ad uso personale.
3 Il paragrafo 12 dello IFRS 8 dà alcune indicazioni in merito alla distinzione tra i diversi settori:
I settori operativi presentano spesso risultati di bilancio similari nel lungo periodo se hanno caratteristiche economiche similari. Per esempio, da due settori operativi con caratteristiche economiche similari ci si dovrebbero attendere dei margini lordi medi di lungo termine analoghi. Due o più settori operativi possono essere aggregati in un unico settore operativo se l’aggregazione è coerente con il principio base del presente IFRS, se i settori hanno caratteristiche economiche similari e se i settori sono similari per quanto riguarda ciascuno dei seguenti aspetti:
a. natura dei prodotti e dei servizi;
b. natura dei processi produttivi;
c. tipologia o classe di clientela per i loro prodotti e servizi;
d. metodi utilizzati per distribuire i propri prodotti o fornire i propri servizi; e
e. natura del contesto normativo, se applicabile, per esempio bancario, assicurativo o dei servizi pubblici.
4 Il paragrafo 6 dello IAS 36 così definisce il mercato attivo: Un mercato attivo è un mercato in cui esistono tutte le seguenti condizioni: (a) gli elementi commercializzati sul mercato risultano omogenei; (b) compratori e venditori disponibili possono essere normalmente trovati in qualsiasi momento; (c) i prezzi sono disponibili al pubblico .
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3. Le cash generating unit ai fini dell’impairment test
3.2 L’allocazione dell’avviamento alle CGU
Ai fini della verifica per riduzione di valore, l’avviamento complessivo scaturente dall’allocazione del costo sostenuto per una aggregazione aziendale” deve essere allocato ad ogni unità generatrice di flussi finanziari dell’acquirente o a gruppi generatrici di flussi finanziari, che si prevede beneficino dalle sinergie dell’aggregazione, a prescindere dal fatto che altre attività o passività dell’entità acquisita siano assegnate a tali unità o gruppi di unità” (IAS 36 , paragrafo 80).
Questa disposizione trova origine nel fatto che l’avviamento rappresenta quanto corrisposto dall’acquirente nella previsione che si otterranno dei benefici economici che, però, non possono essere rilevati come derivanti da specifiche attività: la contribuzione dell’avviamento ai flussi finanziari dell’impresa riguarda sempre una CGU o una molteplicità di CGU; inoltre, l’avviamento non è di per sé generatore di flussi finanziari.
E’ importante, al proposito, sottolineare che lo IASB ha respinto le argomentazioni di coloro che sostengono che la verifica della riduzione di valore dell’avviamento possa essere effettuata solamente a livello di impresa, ed ha invece sostenuto che il più alto livello oltre il quale non si può andare per effettuare tale verifica è quello del settore operativo di competenza (IFRS 8 , Settori operativi). Tale impostazione, laddove l’impresa effettui il monitoraggio del valore dell’avviamento ad un livello superiore, può comportare la necessità di sviluppare sistemi aggiuntivi di analisi e rendicontazione per rendere possibile la verifica per riduzione di valore imposta dai principi contabili internazionali.
La CGU o il gruppo di CGU cui viene allocato l’avviamento deve, quindi, essere il livello più basso nell’ambito dell’impresa al quale l’avviamento viene monitorato nel sistema di controllo interno. Inoltre, tale CGU o gruppo di CGU non può essere più grande del “settore operativo” cui si riferisce. Si ritiene che l’approccio dato dallo IAS 36 disciplini la verifica della riduzione di valore ad un livello informativo delle operazioni e delle attività dell’impresa che generalmente corrisponde a quello utilizzato dalla direzione ai fini del proprio controllo interno di gestione.
Anche se, idealmente, l’allocazione dell’avviamento dovrebbe essere completamente definita entro la data di chiusura dell’esercizio in cui si effettua l’operazione di aggregazione aziendale, l’IFRS 3 consente che l’aggregazione aziendale sia contabilizzata in via provvisoria nell’esercizio in cui essa avviene, e completata entro un periodo non eccedente i dodici mesi dalla data dell’acquisizione. Tenendo ciò in considerazione, lo IASB ha anche riconosciuto che spesso non è possibile definire completamente l’allocazione dell’avviamento fintanto che la contabilizzazione dell’operazione di aggregazione aziendale non sia stata anch’essa completata ed ha quindi disposto che la definizione ultima dell’allocazione dell’avviamento debba avvenire entro i dodici mesi successivi a quello di acquisizione. Di fatto, questa disposizione consente di disporre di un periodo maggiore per allocare l’avviamento rispetto a quello consentito per la contabilizzazione dell’acquisizione stessa.
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3. Le cash generating unit ai fini dell’impairment test
3.3 L’allocazione delle “attività centralizzate”
Nell’ambito della struttura organizzativa di qualunque impresa sono presenti delle attività che possono definirsi “centralizzate” (o corporate assets), in quanto utilizzate al servizio dell’attività dell’intera impresa (o di svariate parti di essa), piuttosto che attribuibili direttamente ad una o più specifiche ed identificabili CGU. In altri termini, quelle attività che contribuiscono alla generazione del flusso finanziario in entrata dell’impresa, ma che non sono direttamente ricollegabili ai risultati prodotti da specifiche unità della stessa. Ad esempio, la sede amministrativa di un’impresa, un centro di ricerca e sviluppo, e simili casi.
Lo IAS 36 prescrive che le attività di questo tipo debbano essere isolate rispetto a quelle attribuibili alle CGU identificabili, e suddivisibili tra quelle che non possono essere allocate alle CGU identificabili “secondo un criterio ragionevole e coerente”, e quelle che invece hanno tale possibilità ( IAS 36 , paragrafi 100-103).
3.3.1. Attività centralizzate allocabili
Sono tali quelle attività in cui l’allocazione del loro valore – in tutto o in parte – alle CGU identificabili può essere effettuata secondo criteri ragionevoli e coerenti con quelli che hanno determinato l’identificazione della CGU nei suoi componenti. Appare evidente come tale procedimento debba essere accompagnato dall’esercizio di un razionale ed equilibrato giudizio da parte della direzione dell’impresa. In particolare, il valore contabile della CGU così risultante deve essere coerente con le assunzioni fatte per stimare le modalità di recuperabilità del valore della CGU ( IAS 36, paragrafo 76).
L’allocazione del valore di tali attività alle CGU identificabili, poi, dovrà essere accompagnato da un criterio di ripartizione (in molti casi, ponderando proporzionalmente tale valore ai flussi finanziari in entrata delle CGU interessate, alla durata stimata di tali flussi ed eventualmente ad altri parametri appropriati nelle circostanze specifiche) che non contrasti con i criteri che hanno determinato l’identificazione delle CGU stesse. Lo IAS 36 presenta un esempio di tali procedimenti (IAS 36, esempio 8).
3.3.2. Attività centralizzate non allocabili
L’impossibilità di effettuare una allocazione (totale o parziale) quale quella sopra descritta comporterà il trattamento delle specifiche attività in questione distintamente dalle CGU. Pertanto, anche per queste attività “residuali” occorrerà procedere alla verifica dell’eventuale riduzione di valore; qualora ne ricorrano i presupposti:
– identificando il più piccolo gruppo di CGU che includa la CGU in questione e a cui la parte del valore dell’attività non allocabile possa essere allocata secondo un criterio ragionevole e coerente, e quindi – confrontando il valore contabile così risultante per tale gruppo di CGU con il valore recuperabile dell’intero gruppo.
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3. Le cash generating unit ai fini dell’impairment test
3.4 Il valore contabile della CGU
Il valore contabile della CGU include il valore contabile delle sole attività (non correnti) che possono essere attribuite direttamente, o ripartite secondo un criterio ragionevole e uniforme, alla CGU. Le poste dell’attivo circolante non sono incluse nel calcolo del valore contabile e del valore recuperabile, in quanto i saldi relativi al capitale circolante sono sottoposti separatamente a verifica per perdite di valore, conformemente a quanto stabilito dai principi applicabili (le rimanenze ed i crediti, per esempio, sono sottoposti a verifica sulla perdita di valore secondo le disposizioni dello IAS 2, Rimanenze e IAS 39, Strumenti finanziari: rilevazione e valutazione). Inoltre, non devono essere incluse le passività relative alla cash generating unit, ad eccezione del caso in cui il valore recuperabile dell’unità generatrice di flussi finanziari sia stimabile solo includendo anche specifiche passività (si veda il capitolo 9.1). Ad esempio:
Avviamento 30
+ Altre attività immateriali 80
+ Attività materiali 170
= Valore contabile della CGU 280
Per motivi pratici, il valore contabile della CGU può includere anche gli elementi attivi (ad esempio, i crediti commerciali, le rimanenze) e gli elementi passivi (ad esempio, i debiti commerciali, il TFR) del capitale circolante, come precisato dallo IAS 36 , paragrafo 79 [1].
In ogni caso, il valore contabile di una CGU deve essere determinato in maniera coerente con il criterio con cui è determinato il valore recuperabile della CGU ( IAS 36 , paragrafo 75). Di conseguenza, la configurazione del valore contabile di una CGU deve essere coerente con i flussi finanziari utilizzati per stimare il valore recuperabile della stessa CGU.
Note:
1 Nello IAS 36 , al paragrafo 79 si legge infatti: ” Per motivi pratici, il valore recuperabile di un’unità generatrice di flussi finanziari è talvolta determinato dopo aver tenuto conto anche di attività che non fanno parte dell’unità generatrice di flussi finanziari (per esempio, crediti o altre attività finanziarie) o passività che sono state rilevate (per esempio, debiti, pensioni e altri accantonamenti). In tali circostanze, il valore contabile dell’unità generatrice di flussi finanziari è incrementato dal valore contabile di tali attività e diminuito dal valore contabile di tali passività “.
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3. Le cash generating unit ai fini dell’impairment test
3.5 L’allocazione delle perdite per riduzione di valore delle CGU
Se la verifica effettuata indica la presenza di una riduzione di valore rispetto al valore contabile di una CGU o gruppo di CGU, la perdita derivante da tale riduzione è rappresentata dalla differenza tra il valore contabile delle attività che compongono la CGU o gruppo di CGU ed il maggior valore tra:
– il valore stimato realizzabile, calcolato come il fair value dell’attività ridotto dei costi necessari per la sua vendita (se determinabile);
– il valore d’uso della CGU (se determinabile);
– zero.
Le perdite per riduzione di valore devono essere allocate alle attività costituenti la CGU nel rispetto di una gerarchia disciplinata dal paragrafo 104 dello IAS 36 , e cioè:
– innanzitutto a riduzione dell’avviamento allocato a tale CGU;
– la parte eventualmente residuale ripartita in proporzione al valore contabile delle singole attività che compongono tale CGU o gruppo di CGU.
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4. Il valore d’uso della CGU
Il valore d’uso è definito come il valore attuale dei flussi finanziari netti che si prevede avranno origine da una CGU. Il calcolo del valore d’uso della CGU è ottenuto attraverso la stima dei seguenti fattori:
– flussi finanziari futuri in entrata e in uscita che deriveranno dall’uso continuativo della CGU e dalla sua dismissione finale; e
– tasso di attualizzazione appropriato ai flussi finanziari futuri in entrata e in uscita.
La stima dei futuri flussi finanziari deve basarsi sui più recenti piani previsionali per ogni singola CGU, approvati dall’organo amministrativo competente. I flussi finanziari futuri, da attualizzare, devono risultare da piani basati su presupposti ragionevoli e sostenibili che coprano un orizzonte temporale massimo di cinque anni. Tale periodo può essere più esteso nel caso in cui l’organo amministrativo competente [1] sia in grado di dimostrare una efficace capacità di previsione oltre che fiducia nella possibilità di raggiungere i risultati previsti.
Le proiezioni dei flussi finanziari successivi al periodo coperto dall’orizzonte temporale previsto da tali piani previsionali devono essere determinate sulla base di un tasso di crescita stabile o in diminuzione, a meno che un tasso crescente possa essere giustificato da validi motivi. Lo IAS 36 al paragrafo 33, lettera c, stabilisce infatti che: “stimare le proiezioni di flussi finanziari superiori al periodo coperto dai più recenti budget/previsioni tramite estrapolazione delle proiezioni fondate su budget/previsioni facendo uso per gli anni successivi di un tasso di crescita stabile o in diminuzione, a meno che un tasso crescente possa essere giustificato. Questo tasso di crescita non deve eccedere il tasso medio di crescita a lungo termine della produzione, dei settori industriali, del Paese o dei Paesi in cui l’entità opera, o dei mercati nei quali il bene utilizzato è inserito, salvo che un tasso superiore possa essere giustificato “.
Per determinare i flussi deve essere disponibile un piano economico redatto dal management della società, piano in cui devono trovare riscontro gli assunti di base su cui l’impresa ha fondato le proiezioni dei flussi finanziari. I flussi finanziari devono essere al lordo sia degli oneri finanziari, sia degli oneri tributari. Il tasso di attualizzazione deve riflettere le valutazioni correnti di mercato del valore temporale del denaro e dei rischi specifici connessi all’attività d’impresa.
Al fine di determinare il valore d’uso di una CGU il metodo di valutazione di riferimento è il metodo finanziario conosciuto come Discounted Cash Flow (di seguito anche DCF).
Sulla base del metodo valutativo del DCF nella versione dei flussi finanziari al lordo degli oneri finanziari e fiscali, il valore di un’attività o di una CGU è determinato secondo la formula seguente:
ove:
W: valore d’uso della CGU oggetto di valutazione;
F(t) : flussi finanziari netti [2] per ciascuno degli N anni considerati nel periodo di proiezione esplicita;
F(n) : valore terminale (o terminal value) della CGU alla fine dell’ultimo periodo di previsione esplicita;
Wacc: tasso di attualizzazione al lordo delle imposte [3]
n
W = [SF(t) (1 + Wacc)-t + F(n) (1 + Wacc)-n]
t=1
Note:
1 Per organo amministrativo competente si intende, a seconda del sistema di governance adottato dall’impresa, l’amministratore unico, il consiglio di amministrazione, o il consiglio di gestione.
2 I flussi finanziari netti corrispondono alla differenza tra i flussi in entrata e quelli in uscita: tale differenza è al lordo degli oneri finanziari e di quelli tributari.
3 Si noti che lo IAS 36 al paragrafo 56, nella scelta del tasso di attualizzazione, fa riferimento a ” un tasso che riflette le valutazioni correnti del mercato del valore temporale del denaro e dei rischi specifici dell’attività “.
Poiché, spesso, il tasso specifico di un’attività non è reperibile direttamente sul mercato, l’impresa utilizza altre tecniche per stimarne il tasso di attualizzazione tra cui, la più utilizzata, è il Wacc. Per il calcolo del Wacc si veda quanto esposto al capitolo 7 ed alle relative formule.
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5. La determinazione dei flussi finanziari di una CGU
5.1 La corretta identificazione dei flussi finanziari
Nella stima dei flussi finanziari l’impresa deve considerare (IAS 36 , paragrafo 39):
– i flussi finanziari in entrata derivanti dall’uso continuativo della CGU;
– i flussi finanziari in uscita che sono necessariamente sostenuti al fine di ottenere i flussi finanziari in entrata e che possono essere direttamente attribuiti alla CGU;
– i flussi finanziari netti da ricevere (o da pagare) per la dismissione dell’attività alla fine della vita utile.
Uno schema che può essere utilizzato per classificare i flussi in entrata ed in uscita, nel caso in cui il valore contabile della CGU sia formato dalle sole attività non correnti, è il seguente (esteso su cinque annualità):
Ricavi di vendita
Meno
Costi della CGU:
Materie e servizi
Costi per benefici ai dipendenti
Altri (manutenzione, spese imputabili alla CGU, ecc.)
=EBITDA
Meno
Investimenti di mantenimento
=Ebitda al netto di investimenti
di mantenimento
=Flusso da attualizzare
Nella determinazione del valore d’uso di una CGU, il flusso netto da attualizzare è l’EBITDA (earning before interest, taxes, depreciation and amortisation ), cioè il risultato economico prima degli “ammortamenti”, in quanto il valore attuale di tali flussi deve essere confrontato con la somma dei valori contabili delle “attività materiali” e di quelle “immateriali” alla data di riferimento dell’ impairment test della cash generating unit.
L’EBITDA deve essere rettificato – come illustrato nel punto 5.4.1 – degli investimenti di mantenimento dei benefici futuri attesi.
I flussi finanziari futuri presentano le seguenti caratteristiche:
– i flussi finanziari analitici coprono un orizzonte temporale massimo di cinque anni;
– i flussi finanziari sono al lordo degli oneri finanziari;
– i flussi finanziari sono al lordo degli oneri tributari;
– i flussi finanziari possono essere espressi in moneta inflazionata o in moneta reale: coerentemente i tassi di attualizzazione saranno tassi nominali oppure tassi reali.
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5. La determinazione dei flussi finanziari di una CGU
5.2 Modalità di proiezione dei flussi
5.2.1. I flussi attesi dall’utilizzo dell’attività nella sua “condizione corrente”
Per stimare i flussi finanziari correlati ad una determinata CGU, l’impresa deve fare riferimento alle “condizioni correnti” di utilizzo della CGU ( IAS 36 , paragrafi 44-45), cioè a prescindere dai flussi ottenibili dalla CGU originariamente acquisita.
L’impresa può quindi considerare eventuali miglioramenti intervenuti successivamente alla sua acquisizione; tale precisazione è particolarmente rilevante per quanto riguarda la verifica del valore relativa agli “intangibili” e all’avviamento (IAS 36, paragrafo delle Basis for Conclusions BCZ 45).
Si consideri, ad esempio, il caso in cui un’impresa abbia acquistato una lista clienti con 1.000 indirizzi che ha iscritto come “intangibile specifico” alla data di acquisizione. L’impresa continua ad utilizzare la lista per la vendita dei propri prodotti. Dalla data di acquisto sono stati cancellati dalla lista 500 indirizzi e ne sono stati aggiunti 800; attualmente la lista è composta da 1.300 clienti. Ai fini del test di impairment l’impresa deve considerare le “condizioni correnti” dell’attività e quindi i flussi finanziari ottenibili dai 1.300 indirizzi (e non solo dai residui 500 dei 1.000 originariamente acquisiti).
5.2.2. Le assunzioni e le cautele da seguire nella modalità di proiezione dei flussi
La determinazione dei flussi finanziari futuri deve essere basata secondo criteri di ragionevolezza e sostenibilità dei flussi (IAS 36 , paragrafo 33).
Le proiezioni dei flussi finanziari devono essere fondate su presupposti ragionevoli e sostenibili in grado di rappresentare la migliore stima effettuabile da parte dell’organo amministrativo competente di una serie di condizioni economiche che esisteranno lungo la restante vita utile dell’attività (IAS 36 , paragrafo 33, lettera a). Maggior peso deve essere dato alle evidenze provenienti dall’esterno. Si devono considerare sia i flussi finanziari realizzati nel passato, sia la passata abilità del management nel prevedere accuratamente i flussi finanziari. Nell’ambito della verifica delle ipotesi assunte alla base delle previsioni è essenziale il riscontro della coerenza tra i flussi prospettici e quelli storici. In tal senso occorre:
– valutare la ragionevolezza delle ipotesi su cui si fondano le stime, esaminando le cause delle differenze tra le previsioni dei flussi finanziari passati e i flussi finanziari presenti (IAS 36, paragrafo 34);
– assicurare che le ipotesi su cui si basano le attuali proiezioni di flussi finanziari siano coerenti con i risultati passati, considerando peraltro gli effetti di circostanze o eventi intervenuti successivamente (IAS 36, paragrafo 34). L’importanza della coerenza tra stime e risultati storici emerge anche dalla lettura del paragrafo BC 64 dello IAS 36 (cui si rimanda).
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5. La determinazione dei flussi finanziari di una CGU
5.3 Flussi scontati o ponderati con le probabilità
Gli impairment test si basano normalmente sull’analisi e sull’attualizzazione dei flussi finanziari futuri che l’attività / CGU sarà in grado di generare nel futuro. Tali flussi finanziari contengono una serie di ipotesi ed assunzioni su eventi futuri che hanno differenti probabilità di realizzarsi.
Normalmente vengono unificate differenti ipotesi e probabilità in un unico scenario di previsione futura, mentre può essere utilizzato un approccio più approfondito che è appunto quello dei flussi scontati con le probabilità (approccio probabilistico) che consiste nel considerare i diversi possibili scenari futuri, le relative probabilità e gli impatti sui flussi finanziari. Dunque, secondo tale approccio si cerca di dare informazioni sui flussi futuri di una attività o CGU in relazione a differenti esiti o scenari possibili.
5.3.1. Analisi degli scenari
L’analisi degli scenari consiste nel considerare i flussi finanziari attesi tramite la media ponderata per le probabilità dei diversi scenari a loro volta determinati sulla base di differenti ipotesi su variabili chiave. L’intento è quello di avere un quadro più completo dell’incidenza del rischio sul valore dell’attività stessa.
L’analisi degli scenari può essere ampliata a più casi (cosiddetti scenari multipli); in tal caso le variabili sottostanti agli scenari possono essere sia di natura macroeconomica che variabili specifiche insite nell’attività.
In questa ipotesi, le principali fasi di analisi sono rappresentate da:
– individuazione dei fattori che determinano il valore dell’attività, intorno ai quali si costruiscono i diversi scenari.
Per esempio, questi fattori possono essere relativi all’andamento dell’economia, a una contromossa della concorrenza a seguito del lancio di un nuovo prodotto, al comportamento (ostativo o meno) delle autorità di controllo con l’immissione di un nuovo servizio;
– determinazione del numero di scenari per ogni fattore, in base a quanto tali scenari siano differenti l’uno dall’altro ed alla possibilità di costruire un flusso finanziario attendibile per ciascun scenario;
– stima del flusso finanziario dell’attività riferito ad ogni scenario;
– stima delle probabilità di ogni scenario.
Sebbene l’analisi degli scenari possa essere intesa come di tipo qualitativo, il suo risultato finale si traduce in termini quantitativi dove il risultato è il valore del flusso finanziario riferito ad ogni scenario ed il valore complessivo atteso per esso, dato dalla moltiplicazione delle probabilità per il valore del flusso finanziario riferito ad ogni scenario (ove sia possibile effettuare il calcolo delle probabilità), ovvero dal risultato dello scenario che appare più probabile.
L’analisi per scenari è un esercizio di elevato spessore, in quanto supporta il management a pensare come i competitor reagirebbero sotto differenti ipotesi macro-economiche, su cosa può essere fatto per minimizzare gli effetti di rischi di ribasso e massimizzare gli effetti di possibili rialzi del valore di un asset; inoltre tale analisi dà indicazione di quali siano i fattori che hanno una maggior influenza sul valore finale.
Tra le problematiche nell’applicazione del modello di analisi degli scenari multipli vi sono:
– la quantità delle informazioni (in primo luogo delle probabilità associate ad ogni scenario) richieste per costruire un flusso finanziario per un numero di scenari che copra l’intero spettro delle possibilità;
– la sua adattabilità ad essere applicato a rischi che si traducano in un “contenuto” numero di scenari (ad esempio, se la concorrenza sviluppa oppure non sviluppa un nuovo prodotto) e non ad un rischio “continuo” che sottenda cioè alla creazione di un numero elevato di scenari e dunque di relativi flussi finanziari (si pensi, ad esempio, al fattore tasso di crescita del mercato);
– il rischio che il management sconti due volte uno stesso rischio: a tal riguardo è opportuno sottolineare che i valori risultanti dall’analisi degli scenari multipli è già un valore che tiene in considerazione il rischio (risk adjusted).
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5.4 Casi particolari di flussi finanziari in uscita
5.4.1. Manutenzioni ed investimenti di mantenimento dei benefici futuri attesi (o capital expenditures)
I flussi in uscita devono includere quelli per la manutenzione ordinaria della CGU, nonché quelli relativi agli investimenti di mantenimento dei benefici futuri.
Nella determinazione dei flussi, lo IAS 36, paragrafo 49, chiarisce, infatti, che le stime di flussi finanziari futuri includono i flussi finanziari in uscita necessari a mantenere il livello di benefici economici che si prevede derivino dall’attività nella sua condizione corrente. Tale previsione obbliga l’inclusione degli investimenti di mantenimento nella definizione dei flussi finanziari, in quanto non incrementativi della redditività standard dell’attività ma indispensabili per il mantenimento della stessa.
In tal senso, quando una unità generatrice di flussi finanziari si compone di attività con diverse vite utili stimate, che sono tutte essenziali per il continuo funzionamento dell’unità, la sostituzione delle attività aventi vite più brevi è considerata parte della manutenzione ordinaria dell’attività nello stimare i flussi finanziari associati all’unità generatrice di flussi finanziari. Similarmente quando un’attività singola comprende componenti con diverse vite utili stimate, la sostituzione dei componenti aventi vite utili più brevi è considerata parte della manutenzione ricorrente dell’attività nello stimare i flussi futuri finanziari generati dall’attività (IAS 36, paragrafo 49).
5.4.2. Investimenti incrementativi e ristrutturazioni
Gli investimenti incrementativi che rappresentano una “discontinuità” rispetto alla normale operatività aziendale non sono ritenuti ammissibili dallo IAS 36, in quanto estranei alla condizione corrente della unità generatrice di flussi finanziari. Le situazioni che generalmente danno luogo ad una discontinuità gestionale sono tipicamente le fasi di ristrutturazione aziendale o di realizzazione di investimenti finalizzati al “miglioramento dell’assetto reddituale” della unità generatrice di flussi finanziari. In entrambi i casi il management aziendale mette in atto dei piani che sono destinati a incidere sensibilmente sul profilo gestionale ed economico della unità generatrice di flussi finanziari.
A questo riguardo, lo IAS 36, paragrafo 44, precisa che le stime dei flussi finanziari futuri non devono includere flussi finanziari futuri stimati in entrata o in uscita che si suppone debbano derivare da:
a) una ristrutturazione futura per la quale l’impresa non è ancora impegnata; o
b) dal miglioramento od ottimizzazione dell’andamento dell’attività.
In tal senso quindi, non possono essere inclusi gli effetti di una ristrutturazione che non sia già stata avviata dall’impresa [1] o di investimenti migliorativi che innalzano la redditività standard dell’attività, valutata immediatamente prima dell’investimento, non ancora sostenuti.
Con riguardo agli investimenti di carattere migliorativo, l’impresa deve prima sostenere gli investimenti e poi includere le stime dei futuri flussi finanziari in entrata che si prevede possano derivare da tali investimenti (IAS 36, paragrafo 48).
5.4.3. Cespiti non ancora pronti per l’uso
Se si tratta di un cespite non ancora pronto per l’uso o per la vendita, occorre stimare anche i flussi in uscita che si verificheranno fino a che esso non sarà pronto per l’uso o per la vendita; ad esempio, i flussi attesi per un progetto di sviluppo non ancora completato o per un edificio in costruzione (IAS 36, paragrafo 42).
5.4.4. Flussi finanziari in valuta estera
Se un’impresa ha una CGU che produce ricavi in valuta estera e per la quale sostiene costi nella medesima valuta [2], occorre riferirsi al paragrafo 54 dello IAS 36, il quale prevede che: “I flussi finanziari futuri sono stimati nella valuta nella quale essi saranno generati e, quindi, attualizzati facendo uso di un tasso appropriato a quella valuta. L’entità traduce il valore attuale utilizzando il tasso di cambio a pronti alla data del calcolo del valore d’uso.”
Poiché lo IAS 36 , paragrafo 39 lettera a), richiede che i flussi finanziari in entrata ed in uscita siano stimati tenendo in considerazione l’uso continuativo del bene nella sua condizione attuale (paragrafo 44) non vi è possibilità di utilizzare flussi in altra valuta (per esempio quella della casa madre). Il paragrafo 54, inoltre, è decisamente prescrittivo e non lascia spazio ad altre soluzioni.
L’uso del tasso a pronti (spot) per l’attualizzazione, come richiesto dal paragrafo 54 è motivato (BCZ47) dal fatto che esso riflette la miglior stima degli eventi futuri che influenzano la valuta. Non si può tenere conto di aspettative di differenziali di cambio futuro, perché queste sono “catturate” dal processo di attualizzazione che può essere effettuato in due modi (BCZ48):
– stimando i flussi in termini nominali, tenendo perciò conto dell’effetto inflattivo che, a sua volta incorpora differenziali di valuta, ed usando tassi di sconto nominale, oppure
– stimando i flussi in termini reali (escludendo l’effetto inflattivo e tenendo conto solo di variazioni specifiche nei valori unitari dei ricavi) ed utilizzando un tasso di sconto reale.
Non è possibile utilizzare tassi di cambio forward perché essi incorporano un elemento finanziario (time value) che è già presente nel tasso di sconto. Pertanto, l’uso di tassi forward provoca una duplicazione dell’effetto finanziario (BCZ49).
Non è possibile tener conto degli effetti di contratti forward nei flussi finanziari generati dal bene perché tali effetti, che consistono nella misurazione al fair value del contratti forward , sono già rilevati in bilancio e sarebbe perciò una duplicazione.
Tutte le considerazioni di cui sopra si applicano anche ai flussi finanziari e al tasso di sconto di valute iperinflazionate, perché è escluso (lo IAS 29 , Informazioni contabili in economie iperinflazionate ) [3] che si possa convertire i saldi di una valuta inflazionata in un’altra valuta quale approssimazione della rimisurazione a valori deflazionati della valuta iperinflazionata. Se ciò è sancito per i saldi di bilancio, a maggior ragione è valido anche per l’effettuazione del test di impairment.
Note:
1 Lo IAS 37 , Accantonamenti, passività e attività potenziali , stabilisce quando una impresa può ritenersi impegnata in un programma di ristrutturazione. Sul punto si veda anche lo IAS 36 , paragrafo 46.
2 Il caso più frequente è una cash generating unit di una controllata o filiale estera.
3 L’esclusione è implicita nel fatto che lo lo IAS 29 ammette come unico procedimento l’adozione di un indice generale di prezzi per procedere alla rimisurazione in termini reali dei valori di bilancio.
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6. Il valore terminale e il tasso di crescita o di decrescita
[Premessa]
Come specificato dal paragrafo 33 dello IAS 36 , nella valutazione del valore d’uso l’impresa deve:
– effettuare proiezioni finanziarie basate su budget/previsioni recenti approvate dall’organo amministrativo competente per il cd. periodo esplicito, che non dovrebbe eccedere il limite dei cinque anni;
– stimare le proiezioni di flussi finanziari per i periodi successivi, facendo uso di un “tasso di crescita” stabile o in diminuzione, a meno che un tasso crescente possa essere “giustificato”.
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6. Il valore terminale e il tasso di crescita o di decrescita
6.1 Il valore terminale
Il valore terminale, che viene calcolato in corrispondenza del termine del periodo di previsione esplicita, assume generalmente il valore derivante dalla capitalizzazione dei seguenti flussi finanziari netti:
1) o l’ultimo flusso finanziario netto del periodo esplicito, quando tale flusso esprime le condizioni economiche normali che esisteranno oltre l’orizzonte di previsione esplicita [1];
2) o un flusso finanziario netto normalizzato, espressivo delle condizioni – ragionevoli e dimostrabili – prospettiche oltre il periodo di previsione esplicita.
Ai suddetti flussi finanziari netti possono essere applicate le seguenti metodologie:
a) Valore attuale di una rendita perpetua:
Valore terminale (VT) = Flusso finanziario netto, diviso per il tasso di attualizzazione (Wacc).
VT = F (n) / Wacc
b) Valore attuale di una rendita perpetua crescente (o decrescente) ad un tasso costante g:
Di seguito si riporta la formula del valore terminale nel caso di rendita perpetua crescente:
VT = F (n) * (1 + g) / (Wacc – g)
Seguendo tale approccio, il valore terminale viene calcolato come rendita perpetua ottenuta capitalizzando il flusso finanziario netto del periodo oltre quello di previsione esplicita ad un determinato tasso, che corrisponde al tasso di attualizzazione (Wacc) corretto di un fattore di crescita o decrescita (g). In caso di g pari a zero, la formula di cui al punto (b) produce lo stesso risultato di quella di cui al punto precedente.
Un aspetto che va attentamente considerato e valutato è legato alla durata dei futuri flussi finanziari. Prima di applicare la formula della rendita perpetua bisogna necessariamente chiedersi se sia realistico che l’attività oggetto di valutazione sia idonea a produrre flussi finanziari positivi in un arco temporale di lungo periodo (almeno venti o trenta anni). In caso contrario si applica la rendita temporanea sul flusso finanziario netto atteso oltre l’orizzonte di previsione esplicita, soprattutto nei casi in cui vi sia assenza di vantaggi competitivi nel mercato in cui opera l’azienda, di un grado di concorrenza attuale o potenziale particolarmente elevato, ecc…
Note:
1 Si noti che non sempre l’ultimo anno di previsione esplicita può rappresentare le future “condizioni economiche normali”. Infatti, tale previsione potrebbe riguardare alternativamente un esercizio al culmine del ciclo o al minimo del ciclo economico. In entrambi i casi, i flussi finanziari dell’ultimo anno di piano non sarebbero espressivi delle future condizioni normali di reddito: nel caso in cui l’ultimo anno di piano coincidesse con il picco espansivo del ciclo, tali flussi sopravaluterebbero i risultati medi normali prospettici, mentre nel caso opposto li sottovaluterebbero.
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6. Il valore terminale e il tasso di crescita o di decrescita
6.2 Il tasso di crescita o decrescita
Il tema della valutazione del tasso di crescita o di decrescita è quindi l’aspetto determinante nel calcolo del valore terminale. Appare evidente che, dato il possibile elevato grado di soggettività di tale valutazione, il giudizio della direzione aziendale dovrà essere esercitato con prudente ed oculato realismo.
Nei paragrafi dal 33 al 38, lo IAS 36 fornisce le seguenti indicazioni circa la determinazione del tasso di crescita che:
– deve essere stabile o in diminuzione (a meno che un tasso crescente possa essere giustificato: ad esempio disponendo di informazioni oggettive di crescita in merito a modelli di ciclo di vita di un prodotto o di un settore aziendale);
– non deve eccedere il tasso medio di crescita a lungo termine della produzione, dei settori industriali, del paese o dei paesi in cui l’impresa opera, o dei mercati nei quali il bene utilizzato è trattato (salvo che possa essere giustificato un tasso superiore);
– può essere pari a zero o può anche essere negativo, se le circostanze lo giustificano.
Si tenga conto che i tassi di attualizzazione sono nominali quando i flussi finanziari sono calcolati in moneta inflazionata, mentre sono espressi in termini reali nel caso in cui i flussi finanziari siano determinati in moneta costante (o reale) ( IAS 36 , paragrafo 40).
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6. Il valore terminale e il tasso di crescita o di decrescita
6.3 Metodi alternativi di determinazione del valore terminale
Un’impresa può utilizzare metodologie alternative per la stima del valore terminale rispetto alla capitalizzazione di un flusso finanziario netto atteso oltre il periodo di previsione esplicita, qualora tali metodologie siano ritenute più rappresentative delle circostanze in cui l’impresa opera e a condizione che vi siano sufficienti informazioni per la loro applicazione.
Tra le metodologie alternative applicabili si segnalano, a titolo esemplificativo, il metodo dei multipli di società o transazioni comparabili e il metodo del “residual value” (valore derivante dalla dismissione della CGU alla fine dell’ultimo anno di previsione esplicita).
In alcuni casi, può essere appropriato stimare il valore terminale mediante una singola metodologia valutativa (ad esempio, come una rendita perpetua crescente ad un tasso g), mentre, in altri casi, può essere appropriato l’utilizzo di differenti metodologie valutative (ad esempio l’utilizzo del metodo dei multipli può essere affiancato da altre metodologie di calcolo).
Nel caso in cui il valore terminale sia stimato attraverso metodologie di valutazione differenti, i risultati ottenuti devono essere attentamente valutati e ponderati dall’impresa, considerando la ragionevolezza dell’intervallo di valori ottenuto. Il valore terminale è stimato all’interno di questo intervallo.
La metodologia adottata per stimare il valore terminale di una CGU deve essere costantemente applicata.
Un cambiamento nella metodologia utilizzata in precedenza o una differente applicazione della stessa metodologia è da considerarsi appropriato se tale cambiamento determina una stima più rappresentativa del valore terminale. Ciò può avvenire, ad esempio:
a) quando sono disponibili nuove informazioni;
b) quando le informazioni precedentemente utilizzate non sono più disponibili (ad esempio, in situazioni di crisi sistemica del quadro economico generale).
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7. Il tasso di attualizzazione
7.1 Il Wacc [1]
Il tasso di attualizzazione utilizzato nelle analisi di impairment esprime il costo delle fonti di finanziamento dell’attività oggetto di analisi: il costo dell’ equity e il costo del debito. Nella prassi professionale il tasso di attualizzazione normalmente utilizzato è il Wacc (costo medio ponderato del capitale o weighted average cost of capital ). Il Wacc rappresenta il costo che l’azienda deve sostenere per raccogliere risorse finanziarie presso finanziatori esterni ed interni. Si tratta di una media ponderata tra il costo del capitale di rischio ed il costo del capitale di debito, la cui formula è la seguente:
Wacc = K [(PN/(D+PN)] + Kd x (1-t) [D / (D+PN)]
ove:
Wacc = Weighted Average Cost of Capital
K = costo medio dell’ equity
PN = equity medio
D = indebitamento medio
Kd = costo medio dell’indebitamento
t = aliquota fiscale applicata agli oneri finanziari
Lo schema di determinazione del Wacc utile ai fini dell’ impairment test può essere analizzato nei seguenti elementi principali:
1. il costo medio dell’equity ;
2. il costo medio dell’indebitamento;
3. il peso dell’equity e dell’indebitamento;
4. il tasso di attualizzazione al lordo delle imposte.
Si precisa che il tasso di attualizzazione deve essere calcolato con riferimento alle singole CGU e non all’impresa nel suo complesso.
7.1.1. Il costo medio dell’equity
Il principio contabile internazionale fa espresso riferimento, per quanto concerne la determinazione del costo medio dell’equity, al modello del CAPM (capital asset pricing model).
Con il CAPM, il costo dell’equity viene determinato quale somma tra il rendimento di investimenti privi